Regia di Arnaud Desplechin vedi scheda film
La famiglia disfunzionale sotto l’ Albero. Come convivere.
L’antefatto: Abel e Junon hanno due figli, Joseph ed Elizabeth. Ben presto il primo rivela una grave malattia per cui serve un trapianto di midollo osseo. Il loro e quello di Elizabeth sono incompatibili e la coppia decide di mettere al mondo un terzo figlio, Henri, sperando che quest'ultimo sia adatto per la donazione organica. Ma Henri si rivela incompatibile e il fratello muore a soli 6 anni. Nasce infine un quarto figlio e il tempo che passa sembra aver prodotto la necessaria elaborazione del lutto.
Sembra, infatti.
Come un cerchio che torna ogni volta al suo inizio, tutti ormai adulti e con famiglie più o meno disfunzionali diramate dal ceppo di partenza sul quale è necessario sospendere il giudizio, viste le buone intenzioni (concepire un figlio-farmaco è certo un’idea originale), Junon, la madre (e come poteva chiamarsi?) si scopre un cancro per cui serve midollo spinale.
Allora sì che Henri/ Matieu Amalric torna utile, lui è compatibile con la madre.
Fra questi due estremi accade di tutto, per anni si sono sedimentate e poi fiorite le migliori stravaganze, malesseri, frustrazioni, odi inespressi, e i frutti sono legami tenuti in piedi solo perché così vanno le cose a questo mondo, e ammettere che la madre odia il figlio e viceversa non è cosa buona.
Intanto la terza generazione nata nel frattempo si avvia verso altri Natali immaginiamo altrettanto edificanti.
Per ora c’è questo, un’antica e agiata casa padronale solidamente borghese nella vecchia Roubaix, due genitori, tre figli, nuore, generi, una fuori casta perché non sposata amica di Henri, un cugino depresso, due nipoti piccoli e rumorosi e un adolescente malinconico e schizofrenico che si è fatto un po’ di manicomio ma sembra più normale degli altri.
Nella coppia stagionata, Junon è la matriarca, una Deneuve che ora che l’età le impone ruoli materni è decisamente più intensa dell’algida bionda di un tempo.
Il patriarca Abel/ Jean-Paul Rossillon è un brutto e simpatico ciccione, pieno di risorse e di bei pensieri che trae dai tanti libri della sua biblioteca. Ha una tintoria che alla ombrosa figlia Elizabeth non sembra all’altezza dei canoni della buona borghesia di Roubaix a cui la famiglia appartiene.
Lui stupisce: “ Perché? A me piacciono i colori, tingere le stoffe!”
Certo Elizabeth non è il tipo di figlia su cui appoggiare la vecchiaia dei genitori!
Severa, intransigente, preda di demoni interiori inespressi ma scalpitanti, ha decretato da anni l’ostracismo dal regno (anzi dall’Olimpo) del fratello Henri, non sappiamo bene per quale colpa.
Henri, da parte sua, non se n’è fatta una malattia e ha condotto una vita da cui sappiamo solo che alcool e chissà che altro non sono mancati.
Assente per anni, ora torna strafottente e scanzonato con la donna di turno, Faunia ( una ninfa dei boschi?), una Emanuelle Devos serena e positiva, che osserva dall’esterno le performances di questa gabbia di matti e se ne sta piuttosto in disparte senza peraltro essere altezzosa.
Un affresco corale?
Non proprio, Desplechin monta un pezzo per volta, un coro è unisono, qui c’è l’unità dissociata, la famiglia che esplode.
Ritratto di famiglia con tutti i disordini affettivi e sentimentali che si cerca sempre di nascondere sotto il tappeto, come la polvere?
Certo, ma niente pianti, crisi e melodrammi, il magma risale con calma, silenziose polluzioni spontanee, risorgive che affiorano da falde freatiche, e ne nascono ruscelli, fiumi, ma anche stagni e paludi.
E come in ogni buona famiglia borghese che si rispetti tutto accade intorno all’Albero, il totem, il luogo magico.
Freddo e neve fuori, caldo e camino acceso dentro, cristalli e argenteria in tavola, arrivi e pacchi-dono, baci e abbracci.
Nulla manca ma è tutto come sconnesso, fuori fuoco, frantumato e riassemblato alla meno peggio, le linee non combaciano ma i pezzi stanno insieme lo stesso.
Un groviglio di esistenze, mondi che s’incontrano e si scontrano, qualcuno ha detto che Freud e Jung impazzirebbero, ed è vero, come controllare un fiume in piena dopo che la placida sorgente d’acqua pura l’aveva battezzato sui monti?
In concorso a Cannes 2008, con salti cronologici e flashback che rifiutano la linearità del racconto, il mondo sconnesso e proteiforme che rappresenta è il quotidiano nelle sue tracce invisibili, nascoste dietro un maquillage sapiente.
Film raffinato e citazionista (I Dieci Comandamenti, Cenerentola a Parigi, Sogno di una notte di mezza estate o Il nuovo mondo di Malick) un sound articolato, vario, cenni di classica, il soul di Otis Redding, tracce di hip-hop, Racconto di Nataleè un celebre titolo dickensiano in tempi in cui Mr.Scrooge sembrerebbe solo un antipatico vecchietto un po’ originale con tutti i suoi fantasmi.
Qui i fantasmi sono ben altra cosa, incistati nelle profondità dell’es non si scatenano in forme drammatiche, pianti, anatemi e colpi di scena.
E’ il Caos primigenio che ha preso forme umane, e i padri divorano i figli, i figli uccidono i padri, ne gettano in mare i testicoli e nasce Afrodite, la dea della bellezza che tutto placa, fino a nuovo scontro.
Il mito intona il suo canto inesausto, gli uomini smarriti dentro le loro contraddizioni, preda di una sofferenza che mai si placa e artefici di crudeltà inaudite, invocano il Poeta:
“Se le ombre che noi siamo vi hanno offeso, pensate questo: che avete soltanto dormito. E tutto tornerà com'era"..
Sogno di una notte … di Natale, il saggio Abel, guardando in macchina, ci rassicura.
www.paoladigiuseppe.it
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