Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film
Un film dei fratelli belgi è quasi sempre garanzia di qualità (a parte l’ultimo per me deludente DUE GIORNI UNA NOTTE) e questo “matrimonio” conferma le (mie) aspettative. Se L’enfant e Rosetta rimangono, a mio giudizio, le loro migliori pellicole, l’esposta personalità di Lorna, complice una sceneggiatura senz’altro riuscita, contribuiscono a definire un film di buonissimo spessore con le consuete tematiche sociali, tanto care ai “fratelloni”, che anche qui trovano ampi spazi rappresentativi e di riflessione. Lo stile di ripresa è sempre il medesimo, telecamera a mano, forse in questo caso meno “nervoso” e il ripetuto ricorso ad attori già visti in altri loro lavori costituisce un personalissimo imprinting che, già con poche sequenze, consente di riconoscere lo stile e quindi gli autori. Si potrebbe rilevare in questa ripetitività il limite del loro cinema (e forse lo è sul serio) ma rimane senz’altro un consolidato sigillo di personalità unitamente alla capacità dei Dardenne di restituire in modo dirompente, neorealistico e con inconfondibile intensità spaccati di quotidiana vita vissuta, di travagli esistenziali che sono, sempre a mio parere, unici per forza visiva.
Lorna è (in)consapevole vittima di troppi raggiri, affettivi ed esistenziali, è vittima di un sogno da coronare con quello che ritiene il suo unico e vero amore, per il quale tutto o quasi le sembra lecito e solo quando si capacita che tutto è perduto estrae il meglio di se a tenace e orgogliosa difesa dell’unica cosa rimastale. La sequenza finale, quelle parole sussurrate in solitudine, sono di sicuro impatto emotivo; poi arrivano le note di Beethoven in sottofondo e si capisce che il film è finito. Un bel film, senza se e senza ma.
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