Regia di Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne vedi scheda film
Premiato per la migliore sceneggiatura al festival di Cannes 2008, l’ennesima prova di talento e sensibilità dei fratelli Dardenne è un racconto morale sulla delicata questione degli immigrati clandestini, gente che lascia la propria terra natale, povera e altresì martoriata dalle guerre (in questo caso l'Albania) per rifugiarsi all'estero nel tentativo di riuscire a costruirsi in terra straniera quella vita che il proprio paese gli ha brutalmente negato. Per rimanervi, però, la maggior parte di questi esuli senza più patria né identità finisce con l’incontrare sul cammino della speranza la legge -fuori dalla legalità- del più forte, ovvero quella perpetrata da lerci individui privi di scrupoli che, in cambio della loro ‘protezione nel paese d’adozione’, li costringono a piegarsi ad odiosi spesso inconcepibili compromessi. È ciò che accade alla giovane clandestina Lorna, la quale, giunta in Belgio dall’Albania, sposa, per accordo, un ragazzo del posto, il tossicodipendente Claudy, così da assicurarsi la cittadinanza che a sua volta girerà ad un ricco malavitoso sovietico, sposandolo non appena diverrà la vedova del caro estinto ragazzo, essendo quest’ultimo il miglior candidato ad una morte (per overdose) certa e non molto lontana ma soprattutto ideale per tenere lontane le spiacevolissime ingerenze delle autorità giudiziarie. Dal canto suo Lorna verrà adeguatamente ricompensata per i suoi servigi così da permettersi di iniziare una nuova vita insieme al fidanzato (conterraneo) non appena il divorzio dal suo secondo marito glielo permetterà.
Tra i migliori esponenti del cinema europeo contemporaneo, gli acclamati Luc e Jean-Pierre Dardenne affrontano tematiche sociali di bruciante attualità abbracciando un'ottica intimistica, quella cioè del narrare, per immagini crude eppur intrise di poesia, storie private altamente rappresentative di quella determinata realtà che si sono proposti d'indagare. Con il loro cinema asciutto, essenziale, minimalista, giammai freddo e distante, costruiscono qui l’ennesimo racconto di anime dolenti strutturandolo come fosse un thriller: scelta vincente, in quanto capace di coinvolgere sorprendentemente dall'inizio alla fine, riuscendo nell’intento di alleggerire la non facile fruizione della storia (visto il tema piuttosto spinoso e pesante). Impregnano ogni momento di tensione -in alcuni punti insostenibile- attraverso l’utilizzo di un ritmo andante e frequenti sospensioni dello stesso e di quel loro modo di puntare la macchina da presa sui volti, corpi, contesti, senza invadenza alcuna, con discrezione ma sottolineandone la presenza, così da permettergli di cogliere anche la più piccola sfumatura di verità emotiva da quei caratteri tanto bene intagliati, tanto rappresentativi di un’umanità fragile, indifesa, desolata e impaurita eppure (inaspettatamente o proprio per questo) spesso depositaria di un’incredibile forza adamantina. Si finisce irrimediabilmente per empatizzare con i personaggi, con quella Lorna e quel Claudy che la vita, anche se percorrendo strade diverse, ha messo, in egual modo, spietatamente in ginocchio. Si finisce per essere spettatori 'attivi', condivisori di una disperazione senza fondo che prende sempre più piede nell’avvicendarsi dei giorni che, tra alti e bassi, risultano alla fine tutti uguali nel loro misero squallore. Quello dei fratelli Dardenne è il cinema dei senza dio, dei diseredati, degli ultimi della terra. Di esseri umani tutti tragicamente soli e tutti necessariamente legati gli uni agli altri in nome di una sopravvivenza reciproca dal forte retrogusto amaro.
Il matrimonio di Lorna è cinismo, crudeltà ma anche compassione, di quella che fa star male; è testarda ostinata fiducia nella vita, è il tenace attaccamento ad essa che, da ingenerosa e feroce, può rivelarsi un immenso salvifico dono capace di colpire e scuotere nel profondo, trasformare radicalmente l'anima, anche quella più perduta.
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