Regia di Yu Li vedi scheda film
E' facile perdersi a Pechino, metropoli alveare che brulica di variegata umanità anche più di 24 ore al giorno.
Ed è assai difficile ritrovarsi.
Lost in Beijing (il titolo originale è il nome della protagonista femminile) è la storia di una massaggiatrice e di un lavavetri che sono costretti a tenere segreto il loro matrimonio per la paura che lei perda il suo lavoro ed è anche la storia di un'altra coppia non più giovanissima ( lui è il proprietario del centro estetico dove lavora la massaggiatrice, perfetto esempio di arricchito con la new economy cinese) che pensa di poter comprare tutto,compresi una madre surrogata e un bambino.
E' inoltre la storia di un bimbo all'inizio non voluto da nessuno e che poi quasi per incanto si ritrova conteso da due padri che competono per lui.
La Cina è sempre più vicina, Pechino ha ormai lo stesso aspetto di una qualsiasi metropoli occidentale soffocata dall'ansia di essere moderna ed efficiente.Da una parte i nuovi ricchi che cercano di ostentare i loro status symbols, dall'altra i proletari che devono pensare solo a lavorare, a produrre per il sistema.
Lo spazio per i sentimenti è poco ed è regolato da geometrie variabili regolate dal denaro ( addirittura c'è un tentativo di rimescolare le due coppie).
Lost in Beijing racconta una storia come tante che non ha alcun tratto distintivo in una metropoli in cui sei solo una goccia d'acqua in un oceano.
Il film di Yu Li racconta storie di tutti i giorni eppure è più politico di tanti altri pamphlets costruiti con l'intento di essere corrosivi verso il capitalismo cinese di Stato.
Girato l'anno prima delle Olimpiadi non poteva certo passare inosservato agli occhi di chi stava faticosamente costruendo un'immagine fiabesca della capitale cinese.
Non va bene far vedere giovani ragazze ridotte alla prostituzione per la mancanza di prospettive, clochard agli angoli delle strade che cercano di dimenticare la loro vita noleggiando paradisi artificiali imbottigliati.
E sono paradigmatici anche i due personaggi maschili, vero specchio della misoginia che percorre trasversalmente la società cinese.
Pretendono di essere padri ma forse è solo un marcare il territorio, solo sentire l'appartenenza della madre del bambino.
L'unica salvezza possibile è la fuga da tutto, il ritorno al nulla da cui si è partiti con un bastimento carico di sogni.
Lost in Beijing è caratterizzato dall'alternanza tra lunghi pianisequenza( nelle parti dialogate in cui si rinuncia all'alternanza campo/contrcampo) e macchina a mano. La fotografia molto spoglia, in certi tratti conferisce al film un aspetto semidocumentaristico soprattutto nelle lunghe sezioni in cui la cinepresa ruba immagini dai vari scorci di Pechino, alla maniera della Nouvelle Vague.
Il film di Yu Li non è piaciuto alla censura cinese e stranamente non per le scene di sesso piuttosto esplicite che ci sono nella prima parte.
Ma sotto gli strali dei censori è caduto chi ha prodotto il film,fermato per due anni.
autrice da tenere d'occhio
ottimo
molto brava
non male
piuttosto brava nel rendere la sgradevolezza del suo personaggio
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