Regia di Wim Wenders vedi scheda film
Che Wenders sia un grande regista è fuori discussione; che Palermo shooting sia un lavoro riuscito però non è proprio nemmeno da considerare: due ore (ma perchè non provare a contenersi?) in cui musica e dialoghi si fondono alla disperata e vana ricerca di un soffio esistenziale, di qualcosa che protegga l'artista (il fotografo, cioè per ovvia traslazione Wenders stesso) dalla morte. Se il regista si realizza così, girando questo film, ed il fotografo si realizza vagando alla ricerca del bello nel mondo, armato della sua macchina professionale, purtroppo lo spettatore non realizza se non una valanga di sbadigli nel tentare di seguire questa storiella dispersiva ed annacquata da un vago simbolismo in cui il patetico tracima (una scena su tutte: l'uomo arrampicato sull'orologio, peraltro utilizzata nella locandina del film: una banalità invereconda di cui sarebbe stato più opportuno vergognarsi ed eliminarla prima che arrivasse ad allibire il pubblico). Curiosa l'idea di affidare il ruolo da protagonista ad un cantante punk (Campino, leader dei Die toten hosen), che se la cava pure bene; Lou Reed torna in un film del regista tedesco a distanza di 15 anni da Così lontano, così vicino. La dedica finale ai Maestri Antonioni e Bergman suona un po' ipocrita, per uno che ha appena messo in scena un Blow up tarocco con elementi (del tutto fuoriluogo) di Settimo sigillo; Palermo shooting è un gran bel modo di girare un film, ma un brutto film lo stesso.
Un fotografo tedesco di fama è in crisi; sceglie così di andare a fare un servizio (con Milla Jovovich) a Palermo, tanto per cambiare aria. Una volta in Sicilia l'uomo è perseguitato da una figura bianca incappucciata che gli scaglia contro frecce e che solo lui può vedere: è la morte che sta venendo a prenderlo. Conosce e si innamora di una restauratrice, ma ormai il suo destino è segnato.
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