Regia di Sam Mendes vedi scheda film
Non stupisca tanto che un lungometraggio che riunisce molto del cast del film che più di tutti ha guadagnato riconoscimenti agli Oscar non sia stato quasi considerato dalla Academy , e comunque non per le categorie maggiori: se "Titanic" era infine (pur con la critica inclusa alla fatuità dell' "orizzonte da scoprire") un film che propendeva per il Sogno, di un Amore infinito,di un superamento di barriere, questo è una riflessione amarissima sull'infrangersi delle Utopie, sull'andare al macero dei sogni della gioventù, della drammatica, in certi casi anche tragica, scoperta di non avere nessun talento presupposto. Quindi, per gli USA che tuttavia hanno messo al posto di comando Barack Obama nella speranza di un domani migliore, un'opera che si avventa con tutto il suo livore sul Sogno Americano non poteva essere premiata.Ed è strano l'atteggiamento di buona parte dei nostri recensori nel fare a gara nello sminuire questo lungometraggio: costruito come un romanzo tradizionale,con un prologo, il racconto vero e proprio, ed un epilogo, "Revolutionary road"( che è tratto da un romanzo di Richard Yates, già pubblicato come "I non conformisti") è una mazzolata allo stomaco. La casetta con praticello e vialetto per l'auto, status-symbol non solo degli aspiranti borghesi americani, si tramuta in una dimensione quasi horror, da prigione senza scampo per giovani coppie che vengono consumate dal vuoto e dall'inutilità della propria vita:i coniugi Wheeler si sbranano lungo tutto il film,lanciandosi accuse a vicenda, consci della mediocrità della tenuta del castello di carte su cui hanno basato la propria esistenza,incapaci di apprezzare l'unico successo colto (la relazione del protagonista che diviene la molla per fare carriera in un lavoro che non gli piace affatto), ma non sono da meno gli altri modelli di famiglia intorno a loro. Mendes gira quasi una sorta di prequel ad "American beauty", che era meno feroce di questo sulla vacuità dell'American Style,DiCaprio e la Winslet forniscono entrambi una prova maiuscola, lui con gli scoppi d'ira ma con la maggior consapevolezza dell'essere un uomo da poco del proprio personaggio, lei con la depressa furia legata ad una quasi bambinesca fede di poter rimediare con fughe continue ad un crollo imminente, e non si dimentica il matto acutissimo e imbarazzante di Michael Shannon, che ha tre scene sole, ma da applauso.
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