Regia di Sam Mendes vedi scheda film
Mendes ancora una volta mette in scena la disgregazione della famiglia borghese, il triste frantumarsi del ‘sogno americano’. Il punto di forza del film è l’ottima interpretazione degli attori. Ma anche le musiche di Newman sottolineano in modo struggente il percorso irreversibile verso l’autodistruzione. Una coppia che sognava grandi orizzonti di felicità si ritrova schiacciata nei soffocanti ingranaggi della routine quotidiana, nei meccanismi ripetitivi di una vita media e ordinaria. Alla base di tutto c’è l’incapacità di fare i conti con la realtà, l’incapacità reciproca di comprendersi, arrivando a percorrere due strade parallele che non si incontreranno mai se non in modo fugace. Film gridato e rabbioso, in cui i rari momenti di tenerezza hanno il sapore artificiale della ricerca di un rimedio impossibile. Forse il limite di tutta l’operazione è da ricercarsi in un’impostazione prevalentemente teatrale e melodrammatica, nella mancanza di quel dovuto distacco che avrebbe reso la dimensione generale più obiettiva e più efficace. Il regista sembra poi sbilanciarsi leggermente portando lo spettatore a parteggiare per la figura femminile. Una figura che assurge come unica vittima della tragedia e delle circostanze che la precedono. Vittima sacrificale della banalità di una vita senza senso e di un marito che a lungo andare si rivela una sottospecie di nullità. In realtà, questa donna fragile e ambivalente (che è capace di slanci di tenerezza e di moti di entusiasmo coinvolgente, ma anche di una freddezza spiazzante) è coartefice del disastro, oltre che vittima di se stessa. E’ facile sparare a zero sull’uomo grigio e senza qualità, mentre lei viene innalzata in tutto lo splendore del suo sogno infranto (anche il geniale picchiatello John sembra più indulgente con lei piuttosto che col marito). Un sogno, quello di “essere meravigliosi nel mondo”, che ha più un sapore sottilmente ricattatorio piuttosto che liberatorio e catartico.
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