Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
Perdere un figlio è il dolore più grande a cui può essere sottoposta una madre. Che sia dipartito o semplicemente sparito, quando ad una donna togli il suo cucciolo, una delle reazioni che puoi avere è la sua furia incontenibile. Christine Collins, interpretata da Angelina Jolie, che si plasma nella pelliccia e nel cappello marrone per quasi tutta la durata della pellicola, è intensa ma quasi immune ai sentimenti, non fosse per quelle scene in cui il pianto sovviene ma, anche in quel caso, l'attrice sembra distante dal reale dolore, è una madre alla continua ricerca del suo bambino che non ritrova più al rientro dal lavoro in un sabato pomeriggio. Non si fermerà davanti a nulla e quando la polizia di Los Angeles le porterà, dopo cinque mesi, un figlio non suo, denuncerà l'intero distretto che la internerà in un manicomio, proprio a causa della sua ostinazione nell'affermare che il ragazzino di cui si sta prendendo cura, non è suo figlio, anche se lui sostiene inspiegabilmente il contrario. Grazie al supporto del reverendo Briegleb, un ottimo John Malkovich, la donna riuscirà nel suo intento soprattutto quando, catturato un ragazzo, questo confessa di aver ucciso, costretto dal cugino assassino, venti bambini tra cui sembrerebbe ci sia anche il piccolo Walter Collins. Christine vince la causa contro la polizia di Los Angeles e Northcott, il cugino assassino, viene condannato a morte. Il ritrovamento dei cadaveri non riuscirà ad identificare con certezza l'identità delle vittime e la Collins continua a sostenere che suo figlio sia vivo pur avendo poi, anni dopo, la certezza che il piccolo era lì, lei continuerà a cercarlo per tutta la vita. Eastwood fa un lavoro certosino ricostruendo la L.A. degli anni trenta e racconta, in modo ineccepibile, una storia vera. La fotografia è ottima e rende le sequenze più reali, coinvolgendo lo spettatore. Se solo avesse utilizzato un'altra attrice, con un metodo recitativo più incisivo, sarebbe potuto essere un capolavoro.
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