Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
Una storia vera che suggerisce riflessioni molto attuali se misuriamo, ad un secolo di distanza, somiglianze e differenze valide anche se a latitudini e tempi così distanti.
Quando nel 2008 questo film uscì c’erano già tanti motivi per fare confronti e lasciarsi andare ad amare riflessioni sullo stato della giustizia in Italia, ma uno in particolare teneva banco su tutte le testate giornalistiche e in TV.
Erano i giorni, in quel dicembre, in cui si assisteva al vergognoso esito del processo per i fatti del G8 di Genova.
Deprecammo, manifestammo, qualcuno sperò che anche ben poca cosa come un film, con tutto quello che mostrava, potesse servire a far rinsavire un po’.
Sono passati anni e, singolare il modo che ha la vita nel tessere connessioni “virtuose”, rivederlo all’indomani delle conclusioni dei consulenti nominati dal gip nell'inchiesta bis che vede indagati i carabinieri per la morte di Stefano Cucchi, costringe alle stesse non edificanti riflessioni:
“Morte improvvisa ed inaspettata per epilessia” in un uomo con patologia epilettica di durata pluriennale, in trattamento con farmaci anti-epilettici.
Oggi c’è una sorella che non si arrende, a Los Angeles, nel 1928, non si arrese una madre.
Storie molto diverse ma entrambe vere, a quasi un secolo di distanza, con corpi di Polizia, quelli “ a cui affidiamo la nostra sicurezza”, dice qualcuno nel film, che non sempre sono quello che dovrebbero essere, non sempre fanno quello che dovrebbero fare.
Dal marzo 1928, rapimento di Walter Collins per mano diGordon Northcott, la storia giudiziaria di Christine, madre single del piccolo di nove anni, rapito da un serial killer assicurato alla giustizia dopo tortuosa vicenda e condannato a morte per impiccagione, si chiuse nel 1935.
La donna, però, non la chiuse mai e sperò fino alla morte di rivedere il figlio, forse, chissà, scampato al mostro e chiuso nella sua gabbia di orrore come David Clay, il ragazzino fuggito e ritrovato sette anni dopo.
I vertici della Polizia furono declassati e pensionati, il reverendo Briegleb non interruppe mai la sua campagna per i diritti civili e la difesa dei cittadini (anche di quelli che non frequentavano la sua chiesa presbiteriana, come Christine) e la comunità di Wineville, Riverside California, cambiò il nome in Mira Loma per dissociarsi da Gordon Northcott, una damnatio memoriae che non si ricordava dai tempi del famigerato Domiziano.
Deus ex machina della vicenda, Malkovich nei panni del coraggioso predicatore, insieme al rassicurante ispettore di Polizia che riesce a sottrarsi alla malefica rete dei poteri forti che dettano legge in città, riportano la giustizia là dove dovrebbe essere, anche se per il dolore di una madre non c’è compensazione che valga.
La Jolie offre un’interpretazione intensa e misurata, il suo corpo esile, addirittura smunto e il viso di un pallore lunare coniugano amore e disperazione con l’umana tenerezza di una donna che sa resistere e lottare oltre ogni capacità terrena, senza mai perdere dignità e fierezza.
Eastwood, fedele come sempre al suo inesausto impegno civile, guida le sorti di una regia sapiente per buona parte del film, là dove si fronteggiano le parti in causa, la madre e gli uomini del potere (magistrati, poliziotti, medici e giornalisti, non manca nessuno).
E’ la parte migliore del film, quella in cui si addensano con forza dirompente tutti i significati, e i comportamenti, i condizionamenti, i sentimenti si rovesciano sullo schermo messi a nudo da una messa in scena compassata e rigorosa, aliena da sensazionalismi, quadri di vita in diretta che un’ottima ricostruzione ambientale lascia commentare da malinconici accordi di piano in sottofondo.
C’è purtroppo un finale non all’altezza, un buon quarto del film che cede alla magnifica tensione di tutto il resto, ed è la cronaca giudiziaria, l’esecuzione in diretta del maledetto killer psicopatico tratteggiato come da manuale e lo strascico dell’after day, cucito in maniera piuttosto frettolosa per lasciare spazio alla speranza.
Peccati veniali, c’è un momento in cui lo spettatore/onnisciente si accorge che il film potrebbe finire.
Bene, a quel punto conviene lasciare la sala (o spegnere il televisore).
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta