Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
THE CHANGELING e EL ORFANATO.
Il Sublime nello schermo, fuori lo schermo, al di là dello schermo .
“ Si tratta di non applicare al cinema un concetto – il sublime- improntato ad altri campi (letteratura, filosofia), ma di fare un uso problematico di questa nozione.
Vale a dire di domandarsi se possiamo utilizzarlo per evocare le opere cinematografiche, e se l’impiego che se ne facesse non cambierebbe la definizione del termine stesso.
Si oppone tradizionalmente il bello ed il sublime.
Il primo è nell’ordine della misura e dell’ordine; il secondo, nell’ordine dell’infinito e dell’irrapresentabile.
La nostra domanda è semplice: come il cinema, che, per l’esistenza del quadro dello schermo stesso, è un arte della limitazione e della finitezza, possa testimoniare l’infinito?
Il cinema, arte del visibile per eccellenza, può, come voleva Bresson, filmare l’invisibile?
Come il cinema rappresenta l’irrapresentabile?”
Jean Christophe Ferrari, ‘Le sublime à l’ecran’, in Positif, juin 2008, n°568
The Changeling, ultima fatica di un Clint Eastwood ricercante sempre più un altrove della visione dentro la società americana, scritto da un J. Michael Straczwinski sceneggiatore già autore della serie capolavoro fantascientifica dal nome ‘Babylon 5’ e della gestione imprescindibile quasi decennale della testata fumettistica ‘The Amazing Spider-man’.
El Orfanato, opera prima del giovane Juan Antonio Bayona, sotto l’ala protettrice di Guillermo Del Toro, per la sceneggiatura di Sergio G. Sanchez, approfondisce eticamente e cinematograficamente quello che è rappresentabile nel quadro, nella diegesi, e da questo, quello che può venirne evocato.
La ricerca verso quello che non è (più) visibile sullo schermo.
Le inquadrature si alternano lente e dall’incedere sicuro quando si (ri)vede l’interno della casa della mamma dove, con suo figlio eravamo stati testimoni, all’inizio della pellicola, dell’intimità familiare in The Changeling.
In Bayona, anche qui, si gioca tutto all’inizio della pellicola, per rendere famigliari le inquadrature che dopo avranno ben altro significato.
El Orfanato, acutamente, inizia con una sorta di gioco a nascondino.
In una inquadratura in campo lungo si vede una Laura bambina davanti ad un albero alla destra, alla sinistra il vuoto.
Ad un tratto compaiono lenti, dal fuori campo, i bambini, i suoi amici che evidentemente era già da un po’ che si avvicinavano, ma l’inquadratura ci smorzava la visuale.
Fantasmi della messa in scena che diventeranno vere presenze arcane durante tutto il film.
Questa è l’essenza del vedere, della presenza, dell’effetto scenico.
I ragazzi erano già presenti nella diegesi, nel film, soltanto noi non lo sapevamo perché non lo vedevamo, l’inquadratura non ce lo faceva vedere.
E’ necessario realmente vedere per “evocare” al cinema?
E’ necessario un fortissimo legame con qualcuno che (non) c’è (più), al cinema?
Il sublime può essere evocato al cinema da una figura indistinta e cangiante di un bambino scomparso, figure di bambini che corrono, ma che non esistono più, che lasciano oggetti di tempi passati in stanze dimenticate, un gioco arcano di memorie e di antiche presenze, un gioco vecchio come il mondo.
Il sublime si può annidare in una inquadratura finale, di Changeling, in cui una stupenda Angelina Jolie dal volto icona di una Madonna, vergineo, bianco, con un foulard che ne evoca l’alterità e la sovrannaturalità, continua a cercare il figlio, continua a crederci, in una strada pullulante di gente, si dirige verso un cinema, dichiarazione di intenti?
La Vera Fede potrebbe nascondersi benissimo nel Sublime cinematografico.
Le ricerche più care hanno come destinazione un certo tipo di pellicole, e di cinema, oserei dire.
Ci vuole Fede per essere cinefilo.
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