Espandi menu
cerca
Changeling

Regia di Clint Eastwood vedi scheda film

Recensioni

L'autore

scapigliato

scapigliato

Iscritto dall'8 dicembre 2002 Vai al suo profilo
  • Seguaci 136
  • Post 124
  • Recensioni 1368
  • Playlist 67
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Changeling

di scapigliato
10 stelle

Clint Eastwood continua la sua personale decostruzione dell’America. Sarà che sono suo partigiano da tempi non sospetti, da quando bambino lo vedevo masticare il sigaro nei film di Sergio Leone, e quando da ragazzino l’ho visto cavalcare e sparare al fianco di Gene Hackman in “Gli Spietati”, fino a quando da giovane e consapevole ho inziato a studiarlo partendo proprio dalla sua prima regia “Play Misty For Me - Brivido Nella Notte”. Sarò anche suo partigiano, ma quando vedo un suo film da regista, io vedo Clint. Lo vedo riflettersi sullo schermo, alto e magro e storto dietro la macchina da presa. Lui è i suoi film. I suoi film sono lui che si perpetua. Come gli animali non sono né buoni né cattivi, ma istintivi; Clint Eastwood supera il Bene e il Male, perchè è un uomo etico. Anima critica, coscenza sovversiva della destra americana, non riesce a compromettersi. Resta limpido nella sua correttezza morale, come limpida resta l’immagine dei suoi film. Tagliato dai fronzoli più inutili, il racconto cinematografico di Clint Eastwood è la classicità del gesto cinematografico. Il movimento dei corpi profilmici, quello dei segmenti filmici, quello della mdp, quello delle luci, dei colori e delle musiche, è il movimento dell’impercettibilità della vita. La sottile movenza, la danza leggera sotto i nostri polpastrelli rivive e si rimuove amplificata dai segni visivi che il vecchio Clint riporta sullo schermo, come se la realtà non fosse mai stata così vera come da lui immaginata. Il caso di cronaca nera da cui “Changeling” è tratto è solo il pretesto per approfondire lo sguardo nella spaccatura che vede derivare da un lato l’etica primitiva del singolo individuo (l’uomo eastwoodiano), e dall’altro le sovrastrutture di potere, la morale, la politica, l’ipocrisia borghese e il quieto vivere di un Paese che s’è fatto mondo intero (l’America). In questa spaccatura ci sono migliaia di poveri disperati che la Storia ha dimenticato per strada, tra cui Christine Collins e suo figlio Walter, ma s’è dimenticata anche di Sandford Clark e di suo zio Gordon Northcott e di tutti i bambini da loro uccisi. Una spaccatura da cui esalano i fumi dello zolfo.
Inizia come un noir melodrammatico per poi diventare un western, un horror, un legal e infine un carcerario. Ancora una volta il genere tiene banco e dimostra come nei suoi vari schemi risiedano i codici della più grande leggibilità cinematografica. Il noir che ci racconta Clint Eastwood è una sfida tra una giovane e grintosa mamma, bella e perfetta come Angelina Jolie e la polizia di Los Angeles. Questa vive nell’arcigna e vecchia e gerontocratica figura di Colm Feore, il capo della polizia, e in quella giovane e aitante di Jeffrey “faccia d’angelo” Donovan, che si dimostra attore di autentica presenza scenica, un bad-babyface-guy che irrita ulteriormente la vicenda già di per sè grandemente insostenibile. Diventa un western quando sotto l’abbaccinante luce del deserto californiano ecco ergersi uno squallido ranch. Vi arriva un poliziotto, uno straniero, che fa domade al redneck di turno, sospettoso ed ambiguo. E poi, un bambino, una fuga, una cattura, e poi di nuovo in città. Il bambino è Eddie Alderson, che se avrà il coraggio di continuare nel cinema ha tutte le carte per diventare un’attore di razza: padronanza di un maturo gesto attoriale e un viso e uno sguardo che già sanno ammutolire lo spettatore. Ed ecco Clint sconfinare nell’horror. Incredibili e insalubri immagini di un orco vero e proprio, la cui vicenda orrorifica ci viene restituita con la potenza visiva del miglior horror-rurale americano. Da “Non Aprite Quella Porta” a “Le Colline Hanno gli Occhi”. Tutto il profondo sud americano, quello degli “invisibili”, è lì sotto gli occhi impietosi di un cielo altissimo e purissimo, a perpetuare la propria povertà mentre in città la polizia consegna il bambino sbagliato ad una mamma sofferente. Nelle aule di tribunale, invece, si consuma il dramma processuale che vede da un lato Angelina Jolie scontrarsi attivamente contro la polizia di Los Angeles, in pericolo pure di linciaggio pubblico, e dall’altro l’orco squilibrato che viene condannato a morte. Il racconto si fa più rapido, più atletico, e il montaggio restituisce la velocità con cui il sistema legale ha voluto fare giustizia. Infine si naviga verso San Quintino. Il carcere è il teatro della scena madre del film che chiude per sempre le nostre coscienze. Non solo il carcere vero e proprio ci riporta ai migliori prison-movie americani, ma anche il soggiorno obbligatorio della Jolie nel manicomio di Los Angeles è un racconto di carcerazione, di prigionia, di perpetua offesa dei diritti civili. Ma è a San Quintino che assistiamo al colpo da maestro, alla mise-en-abyme del film: l’impiccagione del mostro assassino. Sulla coscienza ha venti bambini, rapiti e uccisi a colpi di scure, nemmeno fosse una favola macabra dei fratelli Grimm. La pena capitale, sulla quale anche Clint Eastwood s’era espresso in “Fino a Prova Contraria”, divente l’unica via possibile per tornare a sorridere, per tornare a sperare. Ma è solo un’illusione, perchè mentre il cadavere dell’orco penzola dalla forca, la madre coraggio di Angelina Jolie è scossa. Felicità? Disgusto? Sconcerto? La risposta, come nel miglior cinema, è tutta dentro il linguaggio filmico. Noi spettatori non siamo là con il pubblico a vedere un’esecuzione, bensì siamo il condannato stesso. Nella sua infantile follia camminiamo incerti verso la morte. Con il suo puerile rimorso rivediamo il rimorso di noi tutti. Come diceva Willem Defoe in “Mississippi Burning” anche chi vede certi crimini e non fa niente per fermarli, è ugualmente colpevole. Siamo tutti colpevoli quando permettiamo all’autorità di decidere per noi, di fare il buono e il cattivo tempo, di abusare della propria divisa, fosse quella di un poliziotto, quella di un medico o quella di un religioso. Clint Eastwood si lancia senza appello contro l’autorità più alta in America, la forza dell’ordine, e lo fa con un linciaggio intellettuale mai visto prima, con una ferocia che solo un ventenne. Invece Clint è del 1930, e ci ha mandato tutti a morte. Ci ha portato su quel patibolo, ci ha infilato la corda al collo mentre ci ricordava di tutte le merdate che lasciamo sempre compiere agli uomini di potere, e poi ci ha aperto la botola sotto i piedi e siamo caduti nel vuoto mentre il cappio ci tirava la gola impedendoci di respirare.
Come per tutto l’arco del film abbiamo visto una madre lottare contro la presunta morte del figlio (a cui fa da controaltare la forte decisione di un padre di uccidere la figlia in “Million Dollar Baby”), sul finale vediamo che alla morte non si sfugge. L’etica dell’uomo eastwoodiano impedisce al Bene e al Male di decidere della sua coscienza, e non accetta il giudizio delle sovrastrutture morali come l’ultimo giudizio possibile. Clint individua il nemico, lo fa per noi, perchè non vuole vederci salire su quel patibolo. Ecco il nemico, l’autorità. Ho detto.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati