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The Air I Breathe

Regia di Jieho Lee vedi scheda film

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La recensione su The Air I Breathe

di mc 5
8 stelle

Io i titolisti della distribuzione italiana mica li capisco. Certe volte ci sono film stranieri con titoli secchi, magari anche di una sola parola che sintetizza tutto il senso dell'opera: nossignore, anche in quei casi affibbiano un titolo italiano, spesso fuorviante, scovato con l'intento furbino di accalappiare qualche categoria in più di spettatori. In questo caso, invece, che siamo di fronte ad un titolo originale contenente peraltro anche una parola non semplice da pronunciare, hanno lasciato il titolo originale, proprio nell'unico caso in cui un titolo italiano sarebbe stato giustificato ed opportuno. Vabbè, tanto questo film sembra che lo vogliano "suicidare" tutti quanti, come se stesse sulle palle un pò a tutti (dai distributori ai gestori di sale). Non so se si possa definire un genere, ma esiste quel tipo di film in cui vengono seguite le vicende umane di vari personaggi, intersecandole continuamente, cioè dividendo la pellicola in tanti episodi, salvo poi attribuire al finale una funzione di raccordo. Non è per niente un'idea nuova, a Hollywood l'hanno utilizzata più volte, ma è un'idea che mi ha sempre affascinato. Precisamente, ciò che mi seduce è questo indagare le pieghe dell'animo umano, talvolta con senso di pietà, altre volte sul filo dell'ironìa, ma osservando come sia sempre presente un fatale senso del destino, ed anzi di come i destini dei vari personaggi siano bizzarramente intrecciati dagli autori di sapienti e complesse sceneggiature. Purtroppo c'è un film che non ho mai visto (fondamentale, quel film, e coglione io che non ne ho mai cercato il DVD!) che -a quanto mi è stato detto- dovrebbe essere un pò il capostipite di questo "filone": "Magnolia". Ma c'è anche un' altra pellicola che viene citata come riferimento in ogni recensione di questo "The air I breathe", ed è un film che avrei preferito non evocare, in quanto fu oggetto di accesissimi scontri fra appassionati di cinema: sto parlando di quel "Crash - contatto fisico" diretto da Paul Haggis, di cui avevo rimosso definitivamente le roventi polemiche che ne accompagnarono l'uscita. Un film che, benchè premiato da un Oscar e dall'interesse della gran parte del pubblico, suscitò una sorta di odio rancoroso da parte di una fetta di spettatori che tempestarono i forum e i blog di cinema di insulti verso un'opera che era da loro ritenuta furba, artefatta e soprattutto ipocrita. Io, ora come allora, resto un tenace sostenitore della sincerità di quel film e preferisco rimuovere certi attacchi impregnati di una cattiveria che, ricordo, mi lasciò sbalordito. Per quanto il film citato sia assimilabile a quello oggetto di questa recensione, quel fenomeno non si ripeterà, per il semplice fatto che il film non sta riscuotendo alcun interesse da parte del pubblico, vuoi per promozione nulla, vuoi per un titolo ostico, e perfino gli esercenti non vedono l'ora di smontarlo dalle loro sale e sbarazzarsene: insomma, un flop conclamato. Ebbene, pur trovandolo un film per molti versi imperfetto, a me ha provocato diverse (belle) emozioni, di quelle che al cinema mi fanno bene. Siamo dalle parti della "commedia umana", che evidenzia come il destino sia sempre lì, in agguato, a modificare il percorso delle nostre vite. Vite che sono composte di sentimenti elementari, comuni a noi tutti, i quali a volte ci possono portare a fare scelte sbagliate, oppure, possono inaspettatamente condurci a conoscere persone che mai avremmo immaginato potessero cambiare il corso della nostra esistenza. Suggestiva l'idea che sta alla base del film, cioè il riferimento ad un proverbio asiatico che individua in 4 stati d'animo fondamentali le altrettante chiavi per interpretare i sentimenti che dominano le nostre vite, e ciascuna di queste "4 chiavi emozionali" dà il titolo ad un diverso episodio del film: Felicità, Piacere, Dolore, Amore. E' curioso notare che nella versione originale i personaggi protagonisti dei 4 singoli episodi hanno per nome proprio Happiness, Pleasure, Sorrow, Love. E si tratta di un campionario umano davvero assortito. Un bancario, dedito al proprio lavoro in modo parossistico, un bel giorno va fuori di testa e decide di compiere una follìa che lo porterà ad estreme conseguenze (un magnifico e clamoroso Forest Whitaker). Un gangster violento e privo di ogni lume di pietà che vorrebbe possedere anche l'anima delle persone che frequenta (un Andy Garcia troppo stereotipato e prevedibile). Un medico generoso che vive con sofferenza e in gran segreto la passione d'amore per la moglie del suo miglior amico, e i cui nobili sentimenti lo porteranno a salvare le vite di due donne diverse (un bravissimo Kevin Bacon). Una cantante pop "sull'orlo di una crisi di nervi" che si trova a dover compiere delle scelte di vita importanti (una Sarah Michelle Gellar più intensa del solito). Un manovale del crimine che è personaggio curioso e interessante in quanto dotato di poteri preveggenti che condizionano la sua vita, ma che però una tantum fanno cilecca con esiti disastrosi (un Brendan Fraser insolitamente cupo e dolente, un bel personaggio che avrebbe meritato maggiori attenzioni in sede di sceneggiatura). Ma la parata di star non è ancora finita, perchè appaiono anche (in ruoli secondari) una sempre affascinante Julie Delpy e un stavolta assai modesto Emile Hirsch. Il discreto regista, tale Jieho Lee, è alla sua opera prima ed è anche co-autore della bella e suggestiva sceneggiatura. Quest'ultima implica inoltre un non facile, ma riuscito, lavoro di raccordo nell'intreccio fra i vari personaggi ed episodi, contribuendo peraltro ad un buon equilibrio fra aspetti drammatici e lati paradossali della vicenda nel suo complesso. Non ho dubbi: chiunque abbia a suo tempo detestato "Crash" ignori pure questo film. Per tutti gli altri, vale l'invito a vederlo: troverà un film non certo memorabile ma, questo sì, ricco di spunti e personaggi interessanti.
Voto: 8

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