Regia di Terry Zwigoff vedi scheda film
Zwigoff è davvero uno dei più radicali tra i nuovi registi americani (regista relativamente da poco, ma non giovanissimo).
Il film, un capolavoro, nato dalla fondamentale collaborazione con il fumettista Daniel Clowes, è un film estremo sull'arte.
I presupposti sono da commedia giovanile, divertentissima, di gran ritmo, giocata abilmente su stereotipi che però poi vengono intelligentemente stravolti.
Il protagonista è un ragazzo senza personalità, e abilmente ci viene presentato come uno fuori dalla massa, fuori dai soliti canoni, ma in realtà dopo averci fatto solidarizzare con lui, Zwigoff non lo conduce ad un consolatorio successo, ma ne descrive un'improvvisa e meschina svolta psicologica.
Il film, nonostante i contorni molto brillanti è molto pessimista e descrive il concetto più puro dell'arte, cioè quello di un qualcosa a cui sacrificare tutto, per cui si è disposti anche ad uccidere.
Come in Pallottole su Broadway di Woody Allen, l'indignazione fintamente moralistica per un arte che viene prima di tutto, anche della vita umana, si rivela in realtà invidia, invidia di un'arte veramente libera da ogni sovrastruttura sociale, per cui si è disposti a mettere tutto in gioco.
Il protagonista in realtà non è un genio incompreso (il genio veramente incompreso muore sotto silenzio), ma un inetto senza uno stile proprio, che raggiunge un successo insensato con qualcosa che non gli appartiene, anzi colpevole di un omicidio, apparentemente involontario, ma psicanaliticamente voluto.
Ancora più pessimistica poi la concezione dell'amore, quello che alla fine trionfa nei toni freddi del carcere è un sentimento falso: lei non ama lui, ma solo l'idea che ha di lui...
Zwigoff sei un genio, aspettiamo trepidanti Happy Days.
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