Regia di Terry Zwigoff vedi scheda film
Prime scene: un bambino che prende cazzotti e ceffoni in quantità sorprendente. Perché è diverso, evidentemente, è già un piccolo artista che fantastica di diventare il Picasso del futuro. Otto anni dopo, Jerome (Max Minghella) è finalmente iscritto alla Scuola d’Arte Strathmore ed è ancora convinto di poter avverare il proprio sogno che appare in contrasto con la sua timidezza e introversione. Compagni di stanza, l’aspirante regista Vince (Ethan Suplee) e l’effeminato Mattew (Nick Swardson) che studia per diventare stilista (sic!). Jerome stringe amicizia con Bardo (Joel Moore), convinto d’esser nato per combinar null’altro che divertirsi. Il corso di nudo è luogo curioso in cui gli studenti fanno di tutto fuorché copiare il modello: interpretano, su consiglio del docente-pittore astrattista Sandiford (John Makovich) che passa gran parte del proprio tempo al telefono a supplicare galleristi e a confondere i giovani allievi con le proprie false certezze. Incontriamo poi, col protagonista, la modella Audrey (Sophia Myles) di cui s’innamora ed è la “musa”, il compagno di corso Giona (Matt Keeslar) antagonista in amore e successo ma non ce la racconta tutta, l’insegnate di storia dell’arte (Anjelica Huston, materna e intorpidita) e infine il pittore Marvin Bushmiller (Adam Scott) che si sta autodistruggendo con l’alcol e sputa sentenze volgari quanto bellicose. Ciliegina sulla torta, s’aggira un serial killer che strangola le proprie vittime…
Chi resiste fino a questo punto, magari vuole vedere anche il resto dell’intricata vicenda. Io l’ho fatto e ho qualche perplessità: la sensazione è che il regista Terry Zwigoff e lo sceneggiatore Daniel Clowes (autore anche del fumetto da cui è tratto il film) siano rimasti ibernati per circa trent’anni; si sono svegliati e hanno messo insieme questa pellicola inaudita. L’esempio della scuola dovrebbe essere, dichiaratamente, l’Otis College of Art and Design di Los Angeles, non un liceo artistico italiano nel quale è comunque difficile trovare un ambiente così disgraziato.
Gli artisti citati sono, appunto, vecchi, come se nel 2006, anno del film, non si fossero conosciuti quelli veramente famosi e le tendenze dell’arte. Tutto è un susseguirsi di stereotipi e luoghi comuni sul successo alla “Saranno Famosi” di Alan Parker, ed è un peccato citarlo, perché opera encomiabile, anche nel lasciare aperto il finale. Qui no, si deve concludere nel modo più becero e se c’è chi vuol trovare spunti per accurate analisi sociologiche, s’accomodi, non è vietato.
Sta di fatto che a me non va di farlo. Non mi va di spendere una riga per salvare un lavoro fasullo nei presupposti, nello sviluppo e nel finale. Non mi va di scrivere se non per ribadire la manchevole informazione degli autori che vorrebbero comunicarci la dabbenaggine di studenti ed insegnanti d’arte.
Il regista, nel 2011, si è difeso dalle critiche in questo modo: "[Art School Confidential] ha avuto riscontri negativi sia al botteghino che dalla critica. Tutti odiavano il film. Non pensavo che fosse così male. Almeno rispetto a tutta l’altra merda là fuori. Era certamente onesto come qualsiasi altro film sul mercato. E non sto dicendo che è un grande film. Sto solo dicendo che è meglio di tanta spazzatura".
Detto questo, detto tutto: l’autore pensa a galleggiare sull’immondizia. Come fa un regista così a dare un sostegno fruttuoso a chi nell’arte, qualsiasi arte, anche la sua arte, crede veramente?
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