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E venne il giorno

Regia di M. Night Shyamalan vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su E venne il giorno

di lussemburgo
8 stelle

La filmografia di Shyamalan è sempre stata pericolosamente in bilico tra genialità e assurdità, salvandosi dal dubbio con un’adesione sincera al racconto e attraverso il filtro nobilitante di precise opzioni stilistiche. La regia è per Shyamalan la ricerca di un’espressività significativa, la selezione attenta di cosa mostrare e come farlo, la concentrazione sulle finalità narrative e l’attenzione alla massima incisività delle immagini. La classicità della messinscena, aliena dalle mode e modalità espressive dei colleghi hollywoodiani (tempi lunghi, pochi stacchi, unità di luogo, accortezza del fuori-campo) stride spesso con i soggetti raccontati, tenebrose favole della buonanotte, preludio all’insonnia più che ad un riposo ristoratore, come se l’apparente semplicità e linearità del racconto venisse narrata con mezzi e modi adulti, seri e compassati. Esattamente all’opposto di Tim Burton, che trascina l’esasperazione gotica sino al paradosso della trasformazione in narrazione adulta, potenziando stridore e sarcasmo nell’apparenza del cattivo gusto che nasconde la satira in un sorriso sardonico.
Al contrario, il cinema di Shyamalan è estremamente serio, quasi severo nella disciplina registica perché è per suo tramite che l’assurdo diventa reale, l’incredibile plausibile, il fantastico quotidiano: perché il film ha fatto in modo che così fosse. Se un modello evidente di riferimento e confronto è Hitchcock, con la sua attenta codifica della possibilità registiche e della narrazione come astrazione da parcellizzare in inquadrature adeguatamente assemblate, Shyamalan, similmente fedele all’idea di un assolutismo registico, fa del fuori-campo il marchio di fabbrica, delle omissioni la parte preponderante del racconto (Il Sesto Senso), della sineddoche visiva la fonte di massima tensione (Signs), del segreto la ragion d’essere di un luogo (The Village). La parafrasi hitchockiana è ben evidente nel film, che parte da Gli uccelli, con un’apocalisse naturale in cui l’inoffensivo diventa improvvisamente mortale, e arriva a Psycho, con la casa isolata e la madre che assorbe nel proprio personaggio il figlio ossessivo e psicopatico.
Eppure in E venne il giorno il messaggio umanistico e di radicalismo ecologico prevale (soprattutto negli inserti televisivi, banalizzanti ed esplicativi) e finisce per impoverire il fascino del mistero insito nel suo cinema, in cui l’accenno definisce il contesto, un dettaglio l’azione, un rumore il terrore. E lo stile si fa meno evocativo, costretto ad inseguire i personaggi nelle peregrinazioni coatte dalla fuga dal contagio in una parcellizzazione della narrazione che indebolisce la linea principale rispetto alla contrazione e concentrazione su pochi soggetti (come in Signs, su un soggetto analogo). Ma questa dissipazione narrativa è fondamentale nel ritratto di un’America al collasso, economico e ambientale ma anche sociologico, in cui la paranoia diffusa diventa sintomo e causa di un isolamento progressivo e involutivo, la violenza, su di sé e sugli altri, l’unica forma di comunicazione plausibile e condivisa, l’unico comportamento unificante socialmente diffuso. Il contagio biologico naturalmente indotto e trasmesso diventa così una perfetta metafora della foga autodistruttiva della razza umana, un segnale della sua regressione totale (i passi indietro e la confusione verbale come primo sintomo), sino all’annullamento del principio fondamentale della vita: la sopravvivenza.
Le evocazioni bibliche del titolo italiano rimandano ad un remoto evento apocalittico, ammantato da un elemento mitico e religioso distanziante; mentre l’originale, The Happening, riporta al tempo presente di una morte in atto, di un suicidio in corso ora, che sta avvenendo adesso, ovunque

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