Regia di Peter Yates vedi scheda film
Ancora un'eroina in pericolo per Peter Yates. Dopo l'avvocatessa Kathleen Riley/Cher in "Suspect - Presunto colpevole" del 1987, è ora la volta della fotografa progressista Emily Crane/Kelly McGillis in questo "The house on Carroll Street" dell'anno successivo, banalmente tradotto in italiano "Labirinto mortale", ad essere coinvolta in un gioco rischioso molto più grande di lei. Sono però anche altre le analogie tra le due pellicole. Come Cher trovava l'inattesa e preziosa complicità del giurato Dennis Quaid, pronto a soccorrerla in ogni evenienza, così Emily Crane si fa aiutare nelle sue indagini dall'agente dell'FBI Cochran, interpretato da Jeff Daniels ed a sua volta inizialmente incaricato di pedinare la donna, sospettata di attività antiamericane. L'avvocato di "Suspect" si trovava a difendere un emarginato, un barbone sordomuto accusato di un brutale omicidio. Emily viene coinvolta nell'intricata vicenda, oltre che da un'innata curiosità, "vizio pericoloso" come capirà a sue spese, anche dalla sua tipica attitudine di buona samaritana: vuole infatti aiutare un giovane immigrato - dunque un altro tipo di emarginato - coinvolto come interprete in un oscuro traffico di ex criminali nazisti, fatti arrivare in America assumendo il nome di ebrei deceduti: "carnefici di ebrei travestiti da vittime". In entrambi i film alte sfere di potere si trovano a macchinare lucrosi piani criminali: là era un giudice ambizioso, qui un senatore corrotto e senza scrupoli. Sia in "Suspect" che in "Labirinto mortale" infine, le due eroine, prima della risoluzione dell'intrigo, sono coinvolte in un inseguimento mozzafiato con l'assassino (là alla Corte di giustizia, qui alla stazione ferroviaria). Purtroppo, però, "Labirinto mortale" non convince quanto "Suspect". Nel film con Cher il grande merito di Yates era stato quello di riuscire a contaminare la trama gialla, di suo comunque particolarmente avvincente e ben costruita, con frequenti tocchi da sophisticated comedy (nei battibecchi tra i due protagonisti), inserendo il tutto in un curioso ed intrigante contesto sociale (Washington con le sue molteplici diversità, razziali, di classe e di potere). Di fronte a "Labirinto mortale", che si limita soltanto a sfiorare una pagina nera della storia americana (la caccia alle streghe di cui fu vittima lo stesso sceneggiatore del film, William Bernstein, già autore del copione de "Il prestanome", sul medesimo tema decisamente più efficace) si ha la sensazione di un discreto thriller vecchio stampo che però subisce inesorabilmente le intemperie del tempo che avanza. Il ritmo blando, la regia senza scatti, le interpretazioni ordinarie dei due protagonisti fanno affiorare qua e là un pò di noia e disinteresse. Yates fa con intelligenza il verso ad Alfred Hitchcock (negli ambienti, nelle atmosfere e nei personaggi) e confeziona uno spettacolo comunque dignitoso ed elegante, con alcuni indubbi bei momenti (l'inseguimento finale alla stazione o quello nella biblioteca - e, sempre in tema di analogie, anche in "Suspect" c'era una bella sequenza in biblioteca), ma la suspense tipicamente hitchcockiana latita parecchio. La storia poi non ha la fluidità e l'appeal necessari, in certi passaggi pare troppo semplicistica, meccanica e telefonata, non sempre adeguatamente sviluppata, spesso improbabile (va bene che la protagonista è un'impicciona di prima categoria ma è davvero poco credibile che riesca a trovarsi di continuo e per puro caso nella condizione di ascoltare, di nascosto, conversazioni che dovrebbero restare segrete e che poi si rivelano cruciali per la risoluzione del mistero). Probabilmente poi anche la coppia McGillis/Daniels non è accattivante, spigliata e fascinosa come la coppia Cher/Quaid. Questo probabilmente spiega anche perché "Suspect" si conclude con i due protagonisti che scherzano simpaticamente tra loro, facendo presagire una probabile successiva relazione sentimentale; in "Labirinto mortale" invece i due protagonisti, dopo avere vissuto una fugace love story, pretestuosa e superflua ai fini della narrazione, nel finale si salutano, perché i loro destini devono percorrere inevitabilmente strade diverse. Un prodotto onesto e gradevole ma incapace, a conti fatti, di evitare una routine che, nella parte centrale, rischia fortemente di trasformarsi in stanco e piatto anonimato. Piccola partecipazione della sempre brava Jessica Tandy. Vincitore del premio come miglior film al Mystfest di Cattolica.
Voto: 6
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