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Scano Boa

Regia di Renato Dall'Ara vedi scheda film

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La recensione su Scano Boa

di mm40
5 stelle

Alla fine della seconda guerra mondiale nella desolata bassa tra Ferrara e Rovigo vive una piccola comunità dedita alla pesca degli storioni, che con fatica e sacrifici riesce a sopravvivere. Siamo a Scano Boa e proprio qui vengono ad abitare e lavorare un nuovo pescatore e la sua giovane figlia. I due vengono malvisti fin da subito e la tragedia non tarda ad arrivare.


Rodigino di nascita, classe 1924, Renato Dall'Ara è, naturalmente, soltanto omonimo del popolarissimo presidente (emiliano e di una trentina d'anni più anziano) del Bologna FC, proprio all'epoca in vetta alla serie A; il regista veniva da qualche esperienza in cortometraggio e dal primo lungometraggio Mobby Jackson, del 1960, quando è approdato a un discreto successo di pubblico e critica con questa opera seconda, Scano Boa. Alla base di tutto ci sono il romanzo omonimo di Gian Antonio Cibotto e un corto anch'esso dal medesimo titolo girato da Dall'Ara poco tempo prima; per fare le cose in grande il regista ha chiesto qui l'intervento di un team di sceneggiatori di tutto rispetto: oltre alla firma del regista, sul copione compaiono infatti quelle di Ugo Moretti, Tullio Pinelli, Rodolfo Sonego, Giorgio Cavedon e Benedetto Benedetti. Fin da subito pare evidente l'approfondita conoscenza, da parte del cineasta, delle zone in cui la pellicola è ambientata, zone scandagliate con cura e curiosità, che rivelano un piccolo sottomondo di semplicità, piccole e piccolissime cose, superstizione, saggezza popolare; quello di Scano Boa è un Polesine depresso, senza dubbio miserabile, in tutto e per tutto neorealista e le vicende narrate non fanno nulla per emanciparsi da tale etichetta, presumibilmente guardata con un minimo di diffidenza nel 1961. Eppure a tratti – quando non eccede nel pathos, vale a dire – il film funziona bene, anche grazie alle ottime scelte di casting che pescano tra volti noti (Carla Gravina, Marisa Solinas, Giulio Calì, Alain Cuny, Walter Santesso, Polidor, José Suarez) e meno noti, ma comunque aderenti al relativo personaggio (Gianfranco Penzo, Giò Sartori, Ugo Novello). Pur non essendo ricordata granché, ancora oggi quest'opera ha qualcosa da raccontare, e questo è ciò che maggiormente importa. 5/10.

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