Regia di Bagrat Oganesyan vedi scheda film
Titolo originale: La spremitura (Uva amara). Traduzione italiana: Torchio. Un piccolo gioiello della cinematografia sovietica, trattasi per l’esattezza di una produzione armena – la Armenfilm. Andrej Tarkovskij è il progenitore che in veste di direttore artistico ha garantito la realizzazione della seconda opera del suo aiuto regista in ANDREJ RUBLEV, Bagrat Oganesjan.
La guerra e il dolore, la vita e la morte sono i temi principali. Vahe o Vazik è un bambino che più puntuale del capostazione, quotidianamente, corre al fischio del treno per vedere se il padre, soldato in guerra e dato per morto, è tornato dal fronte. Un’attesa vana occupata dalla conoscenza di un vecchio sceso dal treno con una valigia piena di libri, da vendere in cambio di cibo. I libri nutrono la mente non la pancia, ma delle more per un libro vanno bene uguale. Tutte le disgrazie avvengono per colpa dell’ignoranza, dice sempre l’uomo con la valigia, alla ricerca perenne di cibo e dignità. L’uomo però è una strana creatura, dalla cui bocca escono benedizioni e maledizioni. Zio Vardan e zia Elizabeta si prendono cura di Vahe, dopo che la madre naturale si è rifatta un’altra famiglia. Lo zio, reso invalido dalla battaglia, trascorre le giornate a bere e a raccontare storie di guerra agli astanti. E’ stato sul fronte due mesi e racconta balle per un anno, dicono alcune malelingue. Il capostazione passato il treno si leva subito la divisa per stare in canottiera. Vahe si divide così tra la saggezza antica del vecchio, i giochi per strada e le furfanterie con gli amici, l’affetto degli zii e il peregrinare in stazione o a prendere una gavetta di cibo per lui e il nuovo amico. Saak, a sorpresa, ritorna a casa, gioia e amarezza si susseguono in poco tempo. L’emozione della spremitura dell’uva allieterà Vazik: i volti a lui cari del padre, dello zio sano, del giovane Simon dato per disperso danzano ai suoi occhi mentre spremono l’uva coi piedi. Sono solo dei fantasmi, dei ricordi immaginari, delle visioni.
TORCHIO è un film malinconico, dotato di una certa leggerezza nell’esaltare la cultura dei libri contro l’ignoranza crassa, nel denunciare la guerra quale fonte di carestia e abbruttimento, tragedie e infelicità familiari. I bruschi salti temporali o meglio la confusa unità di tempo e azione, il doppiaggio in russo di tutti i personaggi sono un limite, tollerabile alla luce di autentici squarci di poesia rappresentati dal vecchio dallo sguardo triste e dai discorsi alti. Dalle corse del protagonista ben sottolineate dalle note di R.Amirchanjan e dal finale commovente. Nel cast volti della poetica Tarkovskijana e di SOLARIS in particolare, lo stesso regista ne prese parte come attore. In una scena Saak rompe un vetro, come il don Giulio de LA MESSA E’ FINITA, dopo PARTITURA INCOMPIUTA…di Michalkov ecco un’altra opera a cui Nanni Moretti sembra essersi “ispirato” per alcune scene.
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