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L'anno del dragone

Regia di Michael Cimino vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su L'anno del dragone

di AtTheActionPark
10 stelle

Stanley White – un superbo Mickey Rourke in quella che è forse la sua interpretazione più intensa – è il nuovo detective impegnato a dirigere il dipartimento di polizia di Chinatown. Una nuova ondata di crimini sta, infatti, scuotendo l’apparente tranquillità del quartiere, in cui vige un tacito consenso tra le Triadi della mafia cinese che controllano i traffici della droga, e le forze della polizia. Joey Tai (John Lone), giovane ma determinato boss, vuole infatti ribaltare l’ordine costituito, e stravolgere gli accordi che intercorrono ormai da anni.

 

Michael Cimino, con L’anno del dragone, torna alla regia dopo un silenzio durato cinque anni. Era il 1980 quando, con I cancelli del cielo, poneva fine ad un’intera epoca cinematografica: la New Hollywood. Ma è nel noir - genere che con l'Oriente ha instaurato una sorta di fascino misterioso: si pensi a proto-noir come Ombre malesi o I misteri di Shanghai, oppure, a opere più tarde come Il kimono scarlatto - che il regista americano riesce a rinnovarsi, per imporsi, nuovamente, come uno dei più incisivi autori cinematografici dei suoi tempi. Con l’apporto di Oliver Stone alla sceneggiatura, realizza un film denso, pulsante, e ben poco confortante. La sua regia è spesso nervosa, mutevole. Stacchi improvvisi, finti raccordi, corrispondono a esplosioni inaspettate di incontrollabile violenza. Steady-cam seguono i personaggi in luoghi opprimenti, stretti, soffocanti. L’inquadratura è sempre sovraccarica, piena. La profondità di campo “getta” i personaggi nei contesti, senza mediazioni: li imprigiona in ambienti gremiti di dettagli. L’uso dei colori è fondamentale (soprattutto, dei rossi) per descrivere questo «inferno sulla Terra» che è Chinatown, babele e labirinto inestricabile (sia che si tratti di una discoteca che di un ristorante).

 

L’anno del dragone è, infine, un film profondamente mortuario. Per ben tre volte assistiamo ad un funerale: all’inizio del film (il vecchio boss ucciso da Tai), a metà (Connie, la moglie di White), e alla fine (i funerali di Joey Tai).

Perché l’impossibilità di cambiare le cose - e ce lo dice bene Cimino - è la morte stessa.

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