Regia di David Mamet vedi scheda film
David Mamet non si dimentica delle sue care scatole cinesi, ma questa volta il vero protagonista della sua pellicola è una disciplina, il jiu jitsu (da lui praticato), e soprattutto lo spirito di lealtà che questo mette davanti a tutto (un vero e proprio stile di vita).
Il suo è un vero e sentito tributo, per un film che ha l’indubbio merito di distaccarsi dal concetto per cui bisogna sempre riempire i film di fatti e cose.
Infatti la cosa che funziona meno è proprio l’intreccio, (forse) volutamente scarno, a far emergere ancora di più il sentimento che contraddistingue l’esercizio, quando il mondo appena fuori dal ring è fatto tutto di raggiri e compromessi con l’unico obiettivo di portare a casa la grana e la fama.
Il protagonista, un sempre più convincente Chiwetel Ejiofor, è un esempio di dignità ed onestà, fiero e leale dal primo all’ultimo minuto, proprio un bel personaggio che fa assai bene in questi tempi privi anche dei principi elementari.
Forse però si è calcata la mano sul contesto negativo, alcune cose appaiono un po’ forzate e lasciate lì dopo essere state accenate (vedi per esempio anche il voltafaccia di sua moglie, assai diversa da lui).
Ed anche il finale lascia un po’ l’amaro in bocca per la sua pochezza, ma forse anche qui vale quanto sopra.
Per una volta insomma conta più il messaggio, portato avanti senza alzare la voce, ma se questo è sicuramente encomiabile, non si può dire altrettanto del risultato prettamente cinematografico che non è negativo, ma neanche così valoroso.
Nel complesso un film discreto, fatto di animo e corpo.
Regia molto sentita, ma se è convincente per il messaggio e per il tributo, meno lo è da quello squisitamente cinematografico/narrativo.
Molto bravo, da tenere d'occhio.
Sufficiente.
Sempre dolce e vulnerabile.
Bella e brava.
Ruolo anomalo per il suo repertorio.
Va detto che compare in tre stiuazioni in tutto il film.
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