Regia di Denzel Washington vedi scheda film
Con la grazia propria di chi, nonostante la scarsa esperienza, sa maneggiare con cura le sibilline alchimie della settima arte, D. Washington filma l’ennesima buona trasposizione cinematografica di una vera (o - come sempre - presunta tale) storia americana. Una storia di non eccessiva risonanza mediatica, ma di grande eco simbolica. Una piccola storia di riscatto individuale, ma di grande rivalsa collettiva.
In casi come questi ci vuole poco per dare conforto alle semplici aspettative del pubblico, onde in esso suscitare plauso benevolo o, finanche, estatico giubilo. Detto fatto.
Non tanto, a dire il vero, per la scelta di schierare in pompa magna, fin da subito, taluni collaudati elementi di successo. Una tormentata epoca di segregazione razziale e di lotte sociali, sullo sfondo, mentre, in 1° piano, traspaiono le impronte simboliche dei protagonisti, giacchè a ciascuno di essi può essere ricondotta una specifica anima del disagio e delle proteste di quel periodo: il giovane talentuoso, ma (oltre che nero) dal passato turbolento. La ragazza talentuosa, ma (oltre che nera), per l’appunto, “ragazza” (inutile aggiungere altro). Il baldanzoso professore, intellettuale per vocazione, “rivoluzionario” per sentire civico.
No. Il vero pregio della sapiente sceneggiatura emerge, piuttosto, nella misura in cui sfoggia una maestria ed un equilibrio assai notevoli nell’affrontare tanto la disamina delle relazioni interpersonali che si svolgono fuori dalle aule del sapere, quanto quella delle relazioni umane che trovano allocazione fra un polveroso tomo di cellulosa e l’altro. In effetti, il bello di The Great Debaters risiede proprio nel suo tentativo di rilanciare la passione per valori oggigiorno percepiti come vetusti, ergo desueti e parecchio impolverati da strati di nauseata sazietà culturale. Il ragionato confronto dialogico e la ricerca scientifica. La documentazione bibliografica e l’arte del dibattito oratorio (l’insegnamento dell’importanza dell’uso di fonti attendibili ogniqualvolta ci si cimenti in un’argomentazione qualsiasi è un intento così lodevole da non poter essere confuso con un mero accidente dello script).
Per un film che si propone (oltre che di intrattenere) di trasmettere l’amore per una conoscenza non fine a sè stessa, ma funzionale ad un’emancipazione delle intelligenze individuali, nonchè della coscienza di un popolo tutto un giudizio critico eccessivamente ripiegato sull’enfatizzazione delle pur non poche pecche di regia e sceneggiatura (e, quindi, una manifestazione d’apprezzamento eccessivamente timida e smunta) costituirebbe uno sgarbo irragionevole.
4 stelle convinte.
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