Regia di Ryan Fleck vedi scheda film
“Un particolare non fa un uomo.” Un’affermazione quasi assolutoria da parte di Dan Dunne, insegnante di storia, nonché allenatore della squadra di basket femminile. Dan, infatti, cerca di stimolare i suoi studenti con lezioni poco accademiche in cui i ragazzi possano partecipare attivamente, esprimendo liberamente le loro posizioni, senza fermarsi ai noiosi testi scritti. I programmi scolastici abituali per lui contano poco e a nulla servono i richiami della direttrice. Nel privato, però, il brillante e carismatico Dan è un consumatore accanito di crack e ha una vita che sta progressivamente andando in pezzi. La sua ex ragazza, con cui in passato è stato pure in comunità per disintossicarsi, sta per sposarsi; lui frequenta occasionalmente una collega ma una sera, completamente fatto ed ubriaco, manda tutto all’aria. In più vorrebbe scrivere un romanzo per bimbi ma non trova l’ispirazione. Passa le nottate tra bar e spacciatori ed al mattino, in classe, spesso è frastornato, fatica a stare sveglio, non è sempre lucido (comunque a sufficienza per scoprire gli studenti che copiano). Della sua dipendenza dice: “Al 90% lo faccio per tirarmi su, ma poi non riesco a controllarmi!” Quando una delle sue studentesse, la tredicenne Drey lo scopre nel bagno della scuola sotto l’effetto della droga, tra i due inizia ad instaurarsi uno strano ma intenso rapporto di amicizia e complicità. L’una si prende a cuore le sorti dell’altro e viceversa. Anche per Drey la vita non è una passeggiata: la madre poliziotta è sempre fuori per lavoro, il fratello è in prigione, così che la ragazzina si trova sotto l’ala protettiva, se così si può dire, di un amico di famiglia spacciatore che ben presto si serve di lei per le sue attività illecite. Il confronto, fatto di tenere confidenze (“Conosci mio fratello? Credi che farò la stessa fine?” chiede Drey), di contrasti (“Sono il tuo insegnante non il tuo amico!”) ma soprattutto di silenzi e sguardi che dicono più di mille parole (emblematico sia quello nel bagno della scuola, sia quello a casa del prof. durante il festino, quando Drey porta la dose di droga), aiuterà entrambi per sforzarsi almeno di uscire da un impasse esistenziale sempre più soffocante e deprimente. Perché se è vero, come dice Dan che “un essere umano da solo non conta nulla”, è altrettanto vero che il sostegno reciproco può trasmettere la forza necessaria per superare quel senso di inesorabile sconfitta e di condanna all’infelicità a cui sia Dan che Drey si stanno malinconicamente rassegnando. All’origine c’è un corto dello stesso regista intitolato “Gowanus, Brooklyn” dove Shareeka Epps e Karen Chilton interpretavano già i ruoli di Drey e di sua madre mentre Matt Kerr, che qui è l’insegnante Mr. Light, nel corto era il protagonista Dan Dunne, ringiovanito per consentire a Ryan Gosling, fortemente attirato dal ruolo, di interpretarlo (il suo personaggio nello script iniziale doveva avere circa dieci anni in più). “Half nelson”, presentato in Concorso al Festival di Locarno dove ha vinto il premio speciale della giuria, è soprattutto un film di personaggi, come conferma anche l’utilizzo di una macchina da presa sempre a ridosso degli attori, spesso con primi piani molto ravvicinati. Da un punto di vista narrativo, infatti, la storia procede abbastanza lineare, senza sussulti o sorprese. Ciò che conta per il regista è mettere lo spettatore in contatto con lo squallore, la sofferenza e la vulnerabilità dei due protagonisti, incapaci di venire a capo di una condizione di vita nella quale sono precipitati e che rischia di annichilirli. Dan è il più grande ma non necessariamente il più pronto al cambiamento (l’ex ragazza lo definisce amichevolmente “un bambinone”). L’incipit è chiarissimo: Dan, seduto sul pavimento di casa in mutande, con le gambe divaricate e lo sguardo completamente perso, sembra quasi costretto ad alzarsi dopo il suono della sveglia e come uno zombie si aggira per il suo appartamento, prima di recarsi a scuola. Preferisce il continuo ricorso alla droga piuttosto che reagire e darsi una scossa. I grandi cambiamenti nascono spesso dai contrasti, dice ai suoi studenti, e lui stesso ne è la rappresentazione vivente. Peccato che le sue contraddizioni più che stimolarlo al rinnovamento lo portino all’annullamento di se stesso. Drey è certo più matura della sua età ma facilmente condizionabile: ha bisogno di una guida che le dia sicurezza e crede che Dan, al di là dei suoi limiti ed incongruenze, possa essere la persona giusta. Il continuo confronto e l’affinarsi di una complicità sincera sembra la chiave di volta per una ripresa non facile ma certo possibile, come suggerisce il finale sospeso. Nulla di nuovo sotto il sole, a tratti stereotipato nei caratteri e nelle timide scelte registiche, forse troppo diluito e programmatico in alcuni passaggi, ma comunque abile nell’evitare una vuota e pomposa retorica e nel complesso raccontato con una sincera onestà di intenti ed una toccante delicatezza. Inoltre alcuni dialoghi colpiscono nel segno, nonostante un doppiaggio piuttosto incolore. Il vero valore aggiunto però è la struggente e raffinatissima prova di Ryan Gosling, candidato all’Oscar per questo film e vincitore, insieme alla brava coprotagonista Shareeka Epps, di un Independent Spirit Award. Ammetto la mia ignoranza riguardo alle nuove generazioni di attori, ma dopo aver visto quasi tutti i film di questo giovane interprete distribuiti in Italia, posso dire che riuscire da soli a tenere alto il livello di un film (e per lui non è la prima volta, penso per esempio anche al poco conosciuto “Il delitto Fitzgerald”) è caratteristica che solo i veri talenti hanno. Peccato che raramente abbia a disposizione copioni degni di questo nome: in altri tempi e con altri registi, mi sbilancio, avrebbe potuto aspirare alle vette del giovane, immenso, Al Pacino. Voto: 7
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