Regia di Woody Allen vedi scheda film
Ad ogni nuovo film del "maestro" si scatena la caccia al "Woody Allen in tono minore", al "Woody Allen che non è più quello di un tempo", al "Woody Allen" che ha perso smalto". Ormai è una consuetudine che non mi trova impreparato. Ragion per cui non ho dato eccessivo peso al fatto che quasi tutti i quotidiani, pur valutando positivamente l'opera nel complesso, hanno rilevato la non piena forma del nostro amato regista. A parte il fatto che non si può pretendere sempre il capolavoro da un pur acclamato regista, io penso che le doti peculiari che hanno fatto di Allen un maestro del cinema contemporaneo siano qui in gran parte presenti. Personalmente, ritengo che due siano le qualità che mi renderanno per sempre riconoscente nei suoi confronti: la totale assenza di volgarità e una dose immensa di BUON GUSTO nel raccontare le sue storie, gli amori e i tradimenti. Non è poco, in un periodo in cui ogni film trabocca di volgarità e di compiacimenti favorevoli all'occhio dello spettatore: lui no, sempre misurato, sempre classico, sempre agrodolce, può permettersi di dispensare lezioni di stile a molti altri registi. Io non farò ragionamenti cervellotici nè da studioso di cinema...prendiamo per esempio questo stesso film: si spengono le luci in sala e, adagiato sulla mia poltroncina, mi faccio sedurre subito da una musica deliziosa sui titoli di testa (Allen sceglie sempre commenti sonori classici ed infallibili!) ed ecco che già mi lascio guidare da una piacevolissima voce narrante che mi presenta subito ambiente e personaggi protagonisti; insomma, tutto funziona così egregiamente, e tutto è così maledettamente accattivante e piacevole che io sprofondo ancor di più nella mia poltrona pronto al banchetto, ad assaporare il film come farei con un piatto irresistibile, dal gusto raffinato ma non elitario, dal sapore gustoso ma non eccessivamente forte. Insomma, è il trionfo del BUON GUSTO. A questo aggiungiamo poi la cura con cui Allen sceglie i suoi attori. Anche in questo caso la scelta si è rivelata perfetta. Tre attori uno più bravo dell'altro, che gareggiano nell'aderire ai rispettivi personaggi. E l'incedere della storia è così piacevole che ti senti conquistato da un senso di soddisfazione pari a quello di chi sta sfogliande le pagine di un libro intrigante. Abbiamo due turiste americane in vacanza a Barcellona che incontrano sul loro cammino una potente figura di artista che vorrebbe coinvolgerle in un ipotetico rapporto "a tre". E qui, su questa base, la sceneggiatura si scatena ordendo una serie di trame complesse e spiazzanti, imprimendo svolte stuzzicanti ed introducendo nuovi personaggi, magari non tutti significativi allo stesso modo nel contesto generale, eppure che aggiungono colore e tono alla vicenda. Il modo in cui Allen indaga sui meandri della mente dei tre personaggi rasenta la perfezione, soprattutto quando registra la fragilità e la vulnerabilità di una delle due ragazze, appoggiandosi peraltro all'espressività di una bravissima interprete (Rebecca Hall). Da sottolineare come Allen, tra le righe, o in filigrana, non perda occasione per prendersi gioco del suo Paese e, nel contempo, di fissare sulla pellicola la bellezza dell'Europa, in questo caso la Spagna, nonchè di decantarne il patrimonio culturale (qui per esempio le opere di Gaudì). Javier Bardem è in splendida forma e mostra la sua clamorosa versatilità: dopo i Coen, da un'interpretazione perfetta passa ad un altra che lo è altrettanto pur con caratteristiche opposte, davvero una grande prova, misurata e piena di sfumature ambigue. Scarlett Johansson, attrice alla quale non sono mai stato particolarmente affezionato, qui offre al suo personaggio la giusta varietà di toni, dallo stupore al languore; e credo di poter affermare che nessuno come stavolta Allen prima d'ora abbia mai saputo valorizzarla così compiutamente. E poi c'è la mia prediletta, questa Rebecca Hall che mi ha fatto quasi innamorare. Credo di averla vista qui per la prima volta sullo schermo e mi ha folgorato: innanzitutto quel suo viso mobilissimo con quei due bellissimi occhioni espressivi, conferisce a Vicky tutta l'incertezza, il rimpianto e la malinconia di questo mondo. Ho parlato di tre protagonisti, ma non è esattamente così, perchè -quando già siamo penetrati da un pezzo nel "cuore" della narrazione- irrompe nella vicenda Penelope Cruz. E qui, a mio avviso, va registrata la sola nota stonata del film. Si dice che Allen sia maniacalmente esigente coi suoi attori, ma qui le cose non sono andate, forse, per il verso giusto. Nel senso che la bella Penelope appare totalmente fuori controllo, come se il regista l'avesse lasciata a sè stessa, libera di estrinsecare in modo anarchico la sua furia, con risultati in chiave di "overacting" che sfiorano il ridicolo. Ma si tratta di un unico neo che non inficia assolutamente il brillante risultato finale. E non mi sento neppure di condividere quello che è il "leit-motiv" del malcontento serpeggiante in molte recensioni lette, cioè la visione di una Spagna cartolinesca e turistica accompagnata ad un'immagine stereotipata dell'artista spagnolo macho e libertino. Ora: ammesso e non concesso che quest'accusa sia giustificata, io concederei tutte le attenuanti del caso ad un cineasta intelligente che, deluso dal proprio Paese, sta pervicacemente cercando nell'Europa, e nella sua cultura, una rinascita artistica e una propria (comprensibile) intima rivalsa.
Voto: 9/10
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