Regia di John Crowley vedi scheda film
«Non posso tornare ad essere l'altra persona, perché l'altra persona è morta.»
Boy A e Boy B sono sigle fittizie utilizzate dai giudici britannici per proteggere la privacy di due minorenni nel corso del processo a loro carico.
Boy A è Eric Wilson, detenuto da quando all'età di 10 anni aveva causato insieme al coetaneo Philip Craig (Boy B) la terribile morte di una ragazzina. Giunto a 24, ha saldato il suo debito con la giustizia: sta per tornare ad essere libero, sta per ottenere la propria seconda possibilità. Affinché ciò accada, il programma di riabilitazione prevede che egli seppellisca il vecchio sé e si presenti in una nuova città con un nuovo nome e un passato pulito.
Ora si chiama Jack Burridge e la sua vita riprende da Manchester, ospite in casa di una donna ignara (alla quale è stato presentato come il proprio nipote dall'assistente sociale), come ignaro è il personale della società di consegne dove ha trovato impiego. Assunto come fattorino, ogni mattina si reca presso il deposito che ne funziona da base: qui fa subito amicizia con Chris, il collega con cui divide il lavoro, al quale racconta di esser stato dentro 3 anni perché rubava automobili "per divertimento", e qui conosce la segretaria Michelle, detta "la balena bianca" per le sue forme abbondanti, che da subito lo punta e alle cui moine presto cederà.
Ma si può mentire per sempre? Si può sfuggire a sé stessi? E soprattutto, è plausibile, per un mondo senza pazienza né pietà, concedere una nuova opportunità ad un uomo che si è macchiato (e marchiato) di un crimine atroce, anche se l'ha fatto quando era ancora solo un bambino, anche se ha scontato la propria pena ed intende ripartire da zero?
Queste pesanti domande sono il fardello che Jack porta con sé quotidianamente, sono la spia di una mancanza di autostima dovuta certamente a problemi personali dalla radice profonda, ma favorita e amplificata dall'ottusità di una società ipocrita e priva di lungimiranza che tende a creare mostri per sbatterli in prima pagina e condannarli senza appello, e dall'impotenza di un'amministrazione rassegnata e succube che limita la funzione sociale e rieducativa a proclami vuoti e minati nelle fondamenta.
«Il Male è diventato grande», titolano i quotidiani, che alla notizia dell'uscita di galera di Boy A si scatenano, perché il suo reato non è ancora stato perdonato né mai lo sarà, come non fu perdonato a Boy B, che in galera c'è morto, impiccato in bagno, ufficialmente suicida; e perché su Boy A ora c'è una taglia di 20,000 sterline per ottenere informazioni sulla sua nuova identità ed i suoi spostamenti.
Nato come film per la tv ma poi promosso (in patria) al grande schermo fino a vincere diversi premi BAFTA, Boy A è stato scritto da Mark O'Rowe ispirandosi all'omonimo libro di Jonathan Trigell, che a sua volta ha preso spunto da una vicenda realmente accaduta.
Il regista John Crowley racconta la vita del ragazzo dal momento della scarcerazione integrandola con ampi stralci dal passato, che riaffiora spesso tra i suoi pensieri, i suoi sogni ed i suoi incubi, ricostruendo così la sua infanzia infelice e tribolata: snobbato da un padre depresso e squalificante e da una madre malata ed assente, picchiato dai compagni di scuola e disinteressato agli studi, il piccolo Eric trova conforto nel'amicizia di Philip, un ragazzo problematico a sua volta, che sfoga con l'aggressività e la violenza il dolore per la morte del padre e la rabbia repressa per i ripetuti stupri subiti ad opera del fratello maggiore. Frammenti di memoria troppo duri da mandar giù, troppo difficili da cancellare. Quello paracadutato sul pianeta Terra 14 anni dopo il fattaccio è un giovane uomo eroso dal senso di colpa, timoroso di tutto e tutti ed irrimediabilmente immaturo, che non è mai entrato in un fast food, che non s'è mai ubriacato né tantomeno sballato, che non ha mai avuto un lavoro né toccato una ragazza, che non sa cosa sia la vita. Ma che s'è guadagnato il diritto di provarci ancora.
Crowley dirige con passione e trasporto, focalizza l'attenzione sul percorso del protagonista, sulla terribile gioventù che gli ha sconvolto l'esistenza e sulle molteplici goffe ed irripetibili prime volte che caratterizzano la sua affannosa e dolorosa ricerca di una personalità nuova fondata sulla menzogna, ma non tralascia di dare volume agli altri personaggi, e indugia sui volti con uso abbondante di camera a mano e primi piani, quasi a volerli toccare o sentire comunque vicini.
Fa tenerezza la figura di questo precoce assassino, decenne sfortunato spiantato e privo di punti di riferimento nell'interpretazione trattenuta del giovane Alfie Owen e ventiquattrenne insicuro e confuso in quella emozionante di un intenso Andrew Garfield, e fa altrettanta paura quella del sadico teppista in erba suo complice, cui Taylor Doherty restituisce una raggelante anaffettività. Meritevole di menzione, oltre alla generosa Katie Lyons nella parte di Michelle, la ragazza disinibita e paziente grazie alla quale Jack scopre il sesso e l'amore, è infine Peter Mullan, impeccabile nel ruolo di Terry, assistente sociale tutore e custode unico di ogni suo segreto, tanto scrupoloso e paterno sul lavoro quanto svagato e distante nel rapporto col proprio vero figlio Zeb, lasciato a crescere in solitudine, ad affogare nella depressione, a covare odio.
Boy A non fa prigionieri, è un film duro e commovente che rifugge la retorica ed il pietismo, che pone domande importanti suggerendo risposte inquietanti, che parla di un'umanità triviale, utilitarista e immoralmente moralista che si erge a giudice insindacabile ed emette inappellabili sentenze di morte. E non c'è clemenza, non c'è speranza, né ci sono seconde possibilità per chi ha ricevuto il pollice verso dall'intera opinione pubblica.
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