Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film
Buona prova d’esordio del giovane regista sudcoreano Bong. Secondo me lo stile, sicuramente apprezzabile, è ancora troppo debitore dei modelli asiatici che allora andavano per la maggiore. Bong saprà far meglio, con un approccio più personale, in futuro, con il più maturo Memories Of Murder. Ma già qui dimostra delle qualità non comuni, che si estrinsecano soprattutto in una scansione del ritmo che fa buon uso della colonna sonora jazz e che alla musica jazz si apparenta per l’alternanza tra momenti di quiete ed improvvise accelerazioni quasi parossistiche. Bong conosce ed ha già metabolizzato (oltre al cinema dei cinesi e degli hongkonghesi) la lezione di Tarantino e di Kitano e sa, come loro, disseminare la trama principale – ammesso che ve ne sia una vera e propria – di false piste, variabili talvolta insignificanti e divagazioni che nell’economia del racconto potrebbero sembrare inutili (come la storia, raccontata da un inquilino poco raccomandabile, dell’idraulico Boiler Kim). Con il proverbio citato dal titolo inglese, bisogna ricordare che can che abbaia non morde e che forse, il disagio non è creato dal latrato del cane, ma caso mai risiede nella testa di chi lo sente, assillata da mille problemi. In questo senso, non è secondario notare come Bong ci ponga di fronte una Corea del Sud assai lontana dal mito di paese benestante e tecnologico (in Memories Of Murder ci farà assistere alle proteste di piazza e alla dura repressione della polizia). Siamo, qui, davanti allo spettacolo di una tigre asiatica dove per licenziare una persona dal lavoro ci si mette quanto a sputare per terra ed in cui i posti pubblici si comprano come al mercato. Ecco, poi, come ci si può ritrovare, in un finale solo parzialmente rassicurante, un cattedratico di sociologia che non si fa scrupolo di ammazzare degli inermi cagnolini.
Fa venire voglia di mangiare vegetariano.
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