Regia di Joon-ho Bong vedi scheda film
Yoon-ju, un disoccupato aspirante professore, trascorre le sue monotone giornate in un edificio-alveare di Seoul. Terribilmente irritato dagli acuti latrati di un cane del palazzo, Yoon-ju decide di localizzarlo, accalappiarlo e farlo fuori, ma sbaglia preda e si sbarazza di un cagnolino che non può abbaiare. Quando si accorge dell'errore non si fa scrupolo a rimediare immediatamente, scaraventando dal tetto il cane giusto, solo che il suo inaggettivabile gesto è osservato da Hyeon-nam, una ragazza che dal tetto dell'edificio prospiciente ha seguito tutta la scena con un binocolo. Lungometraggio d'esordio di Bong Joon-ho (futuro autore dei fortunatissimi "Memories of Murder", 2003, e "The Host", 2006), "Barking Dogs Never Bite" è una sorta di commedia autobiografica. La sceneggiatura è basata su esperienze personali e gli interni del film sono stati girati nell'appartamento di Seoul in cui Bong viveva precedentemente. Ma se le situazioni e i personaggi strampalati evocano atmosfere da commedia, lo schema narrativo è quello di un thriller dalle venature inquietanti: il mistero dei cani che spariscono e le fameliche modalità di scomparsa dislocano infatti il film in territori attigui all'horror. Il palazzo-alveare diventa un abitato popolato di figure sinistre e grottesche: il losco portiere (memorabile il suo cavernoso racconto delle gesta di Boiler Kim), la vecchietta solitaria e sciroccata, il barbone golosamente cinofago. In questo microcosmo ambiguo e minaccioso trova però spazio una corrente affettiva tanto improbabile quanto limpida tra Yoon-ju (Lee Sung-jae) e Hyeon-nam (Bae Doo-na): quest'ultima non si è accorta che l'uomo che la intenerisce tanto è lo stesso che scaraventava cagnolini dai tetti. Sono due perdenti, circondati da persone con cui non condividono niente, soli in mezzo a una moltitudine ostile, incapaci di sconfiggere l'infelicità che li attanaglia. Perciò il loro contatto, anche se isolato a un lampo emotivo, tocca più che se fosse sviluppato dettagliatamente. Due solitudini pagliuzzate di empatia. Ma l'autentico protagonista di questo liberissimo esordio (ovviamente un flop al botteghino, troppo fuori dagli schemi per incontrare i favori del pubblico) è lo spazio: il gigantesco edificio domina la scena, troneggia impassibile, dettando tempi e luoghi drammatici. L'anonimo interno dell'appartamento di Yoon-ju, i ballatoi deserti, il tetto coi camini metallici rotanti, il tetro locale caldaie, i riottosi ascensori: una spazialità alienante, disturbante, foriera di isolamento e ostilità. Inumana. Bong Joon-ho gira con una grazia sfuggente e una levità acida che a mio avviso non riuscirà più a riprodurre nei film successivi, troppo attenti a subordinare lo sguardo alle esigenze del racconto. Tra angolazioni dal basso, steadicam ad altezza cane, inquadrature improvvisamente fisse e derive jazzistiche, Bong imbastisce un film guizzante quanto un'improvvisazione. "Barking Dogs Never Bite" resta dunque la migliore prova del giovane cineasta coreano (classe 1969), testimoniando un indiscutibile talento visivo che, se svincolato dall'obbligo di raccontare, potrà offrire nuove traiettorie espressive al suo cinema. Voto: 8.
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