Regia di Renzo Martinelli vedi scheda film
Ma quanto somiglia a Rocky questo Primo Carnera che si sveglia alle 5 e si allena spaccando la legna, che fa le flessioni a ritmo di videoclip e può contare persino su Burt Young a bordo ring. Tanta roba, insomma, tripudio di effetti digitali per amplificare oltre misura i bagni di folla dell’eroe e le bandiere tricolori con stemma sabaudo. Tanta retorica, anche, tanto sentimentalismo, l’amore, la patria, il coraggio, l’orgoglio. Poca Storia (con e senza la S maiuscola), qualche inserto in bianco e nero. Lo spettacolo per quello che è (ma con in più F. Murray Abraham) in questo filmone prodotto da Medusa e lanciato, fiato alle trombe, a Cernobbio in una serata mondana padana con Bossi e la Santanchè. E al Madison Square Garden di New York alla presenza dei figli di Carnera, emozioni autentiche almeno per loro. Martinelli ha lavorato di anima e cuore e marketing per confezionare con tutta la magniloquenza possibile il biopic sul gigante buono, leggenda dello sport. Che era partito dal Friuli per tirare di boxe e tirare a campare ed era diventato campione del mondo nel ’33, simbolo del nuovo miracolo italiano fascista. Si esprimono concetti: «La vita non è un ring, è costruire una famiglia» ma anche tirate sui giornalisti «che parlano male di qualsiasi cosa perché sono invidiosi». Mélo e melenso, perfetto per il passaggio in Tv dove si vedrà in due puntate. Girato a Bucarest, così come Martinelli farà adesso con l’annunciato Barbarossa con Rutger Hauer.
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