Regia di Takashi Miike vedi scheda film
Inizia come la parodia di uno yakuza movie, ma è solo un pretesto: a Miike interessa estremizzare il discorso di Visitor Q, ampliando il disfacimento familiare a quello dei rapporti antropologici, e rafforzandolo con un corrispondente deragliamento sensoriale. Così il protagonista si ritrova ad inseguire il suo mentore impazzito che gli è padre, madre e fratello, e lo ritrova come amante, prima da servire, poi da salvare, infine da godere, per poi vederlo/a partorire (e di conseguenza, sapersi padre di) ciò che era stato sin dall'inizio: l'homunculus emotivo della schizofrenica ambiguità che ogni rapporto umano che abbia avuto si è portato dietro. Nel mezzo ci sta l'incarnazione di questo caos: la mercificazione di una maternità demoniaca (la proprietaria dell'albergo e suo figlio) che torna retroattivamente per far sapere che non ha dimenticato i propri figli (il minotauro/mucca), il costante tira e molla di amicizie apparenti (l'uomo con la vitiligine, i clienti del bar, il capo famiglia che vive nella discarica) e la patriarcale follia di chi comanda (il boss yakuza con le sue perversioni sessuali). Il tutto evidenziato da un comparto visivo pervasivamente caleidoscopico (come sempre per Miike) e da un excurcus nei generi più improbabili (commedia demenziale, horror, fantasy, gangster movie, melodramma, noir, erotico, ecc.). Il problema è che gira e rigira le ossessioni del regista sono sempre quelle: per quanto il campo si allarghi, a chi conosce Ichi the Killer, Auditon e il già citato Visitor Q, questo film non può non trasmettere un fastidioso senso di déjà vu. E al di là di questo, resto dell'opinione che Miike (salvo qualche caso) si trovi maggiormente a suo agio nei contesti più quadrati (alla Rainy Dog) che in quelli apertamente sperimentali (come questo).
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