Regia di Anders Nilsson vedi scheda film
Convincente solo per metà (forse meno). Politically correct (troppo), tagliato su misura proprio per il premio che ha (senz’altro meritatamente) ricevuto da Amnesty International, opportunamente accademico, il film di Nilssen resta carente in molte fasi della sceneggiatura (malissimo guidate le strade e gli svincoli che portano i protagonisti al loro riscatto e/o redenzione), si affida ad un intreccio sostanzialmente inutile (melgio sarebbero stati 3-episodi-3 anziché la struttura narrativa a salti e singhiozzi, che lascia sospesa ora una parte, ora un’altra come fossero le cronache radiofoniche delle partite di calcio domenicali), oltre una scelta cromatica in tono-base seppia-sbiadito assai discutibile. Un cenno di merito invece al brano musicale scelto come “evidenziatore” nei momenti più drammatici, un ri-arrangiamento della “Suite Española di Isaac Albéniz). La grande massa di violenza insita nel film resta comunque sostanzialmente (fortunatamente non direi…) implicita, tranne nella scena (di impatto devastante) sull’autosrada nell’episodio della giovane ragazza uccisa dai parenti. Nilssen si inserisce così in quel filone di nuovi registi nordeuropei con un profilo modesto, scarsamente creativo e innovativo, indefinitamente posto tra il film-inchiesta e il l film-narrazione senza appartenere con decisione né all’uno né all’altro.
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