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Il Divo

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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La recensione su Il Divo

di EightAndHalf
8 stelle

La politica è una gran brutta cosa. E la vita è dannatamente ricolma di politica, e soccombe infelice sotto la portata spaventosamente pericolosa dell'impossibile moralità. Bene e Male erano discorsi passati e démodé già da Machiavelli, e il monologo disperato e straziante di Toni Servillo alias il Divo Giulio, verso la fine del capolavoro di Sorrentino, è segno di come l'uomo, nelle sue forme organizzative e nei suoi più disparati modi di vivere, non può esistere sulla base di concetti morali fissi e precostituiti, soprattutto in un'Italia che fin dagli anni '60 versava nell'invisibile crisi successiva al boom economico. Giulio Andreotti entrò in politica prestissimo, e comprese, purtroppo, a cosa doveva essere costretto un uomo normale che decideva di occuparsi di una società malata, non tanto perché era l'Italia, ma perché era composta di esseri umani in carne ed ossa capaci di sbagliare e in grado di fare grande Male per un secondo fine. Che fosse il Bene poi è una trista consapevolezza.
La moralità, nel film di Sorrentino, viene sostituita da una concezione politica pulsante e viva nelle spettacolari riprese di uno dei più grandi registi italiani attualmente viventi, come nei lunghissimi piani sequenza in cui veniamo accolti lentamente, ma con inevitabili vomiti di eventi storici che si sovrastano e irrompono, nella vita e nel potere vero e proprio del Divo Giulio, che, all'inizio del suo settimo mandato in qualità di Presidente del Consiglio, tenta di scagionarsi da accuse mai realmente accertate riguardanti mafia e associazioni a delinquere fino al disastro di Tangentopoli. La politica cambia (o rimane com'è?) e richiede, con crudeltà e cattiveria, l'ausilio di forze a lei estranee, non sempre lecite, che possano perseguire l'obbiettivo del Bene comune, mettendo a tacere e applicando tutte quelle altre spinte necessarie e inscindibili dalla sanità dello Stato, che ormai, inevitabilmente, specie alla fine del '900 e sempre di più nel nuovo Millennio, richiede azioni a volte spaventosamente immorali. Mai Sorrentino accusa definitivamente Giulio Andreotti, nonostante concretizzi tutte quelle numerose leggende riguardanti per esempio il bacio fra lui e Riina (ma Andreotti non baciava mai nessuno perché Giuda baciava fin troppo) e riguardanti i possibili progetti per mettere a tacere avvocati, banchieri e magistrati per evitare scandali e scoperte di verità fastidiose e, a livello generale, catastrofiche. Non si può rincorrere la giustizia, il compito di un politico è sporcarsi le mani e riuscire a fuoriuscire dalle situazioni più disparate senza un graffio, tenendo dentro sé stesso tutte le possibili spinte emotive che tradirebbero una presa di posizione o un'eventuale azione del passato. Non vogliamo certo giustificare moralmente le possibili, possibilissime azioni di GIulio Andreotti, ma giustificare le sue azioni in termini politici: 'mai' dice Andreotti al prete confessore 'entrerei in contatto con la mafia', ma certe confessioni di pentiti dicono assolutamente il contrario. Eppure lo stesso Andreotti, nell'intervista con Eugenio Scalfari, dichiara che è tutto molto più complicato del semplice aver commesso reati e ingiustizie. La giustizia è per il popolo, quella legge uguale per tutti è una forza limitante necessaria ma anche necessariamente superata dal sangue e dalle uccisioni che forse da politici sono state causate e che riguardarono alcuni deputati della Democrazia Cristiana ma che non toccarono Giulio Andreotti, condannato in Corte d'Appello ma scagionato dalla Cassazione. Alcuni potrebbero leggere il film come la dimostrazione dei capi d'accusa che si possono lanciare contro Andreotti, ma non si potrebbe essere più ciechi di così, né si può pensare che Andreotti ne esca semplicemente come un semplice carneficie, il più furbo criminale della storia d'Italia. Il processo è un altro, il percorso vanamente dimostrativo di Sorrentino (che non è interessato a scoprire la verità) tende non a scovare segreti ma ad affascinarsi della grandezza enigmatica di un uomo politico tutto di un pezzo, impenetrabile, con una scorza di credente e di pensatore finalistico (non crede al Caso ma alla volontà divina), e di farci -provare fascino per quel Male pericolosamente giusto e per quel Bene così difficilmente raggiungibile. E se i precetti cristiani entrano definitivamente in contrasto con la politica degli esseri umani (Tangentopoli sarà la fine ufficiale della Democrazia Cristiana), Sorrentino materializza davanti a noi un interessante e ultra-preciso ritratto dell'umanità italiana della fine del Novecento, e la straordinaria vita di Giulio Andreotti, che mai fu dimostrato fosse colpevole e mai lasciò trapelare alcunché, è l'altrettanto straordinaria presa di coscienza di qualcosa di veramente negativo e apocalittico, relativo e disastroso: la logica della politica è, il più delle volte, logica del Male; la figura politica è carismatica e sa rispondere immediatamente agli stimoli ma difficilmente ammette a sé stessa cosa potrebbe/ha potuto fare; l'ossimoro della politica giusta preme e disturba, complica situazioni già di per loro complesse, inutilmente rivela verità scottanti; la politica, nel fascino della sua elegante e sinuosa malvagità, crea mostri quasi sacri, mitici, divini come il divo Giulio, genio manipolatore oppure uomo più calunniato della storia, gigante della politica italiana che ha involontariamente messo fine alla serietà della politica, che dal momento della di lui vecchiaia in poi (e certo non per colpa sua) si è ridotta alle ridicolaggini berlusconiane (accennate dalle feste di Cirino Pomicino) e al qualunquismo. E Giulio Andreotti diventa vittima, ma è anche carneficie: i due ruoli sono intercambiabili, è la confusione, giostrata e rappresentata straordinariamente da Sorrentino, che tra segmenti quasi felliniani e trovate sarcastiche in grado di ridere del più oscuro dei Mali (la politica), come la scena del gatto o dello skateboard, ci incanta e ci ipnotizza, crea un suo stile, firma il suo capolavoro, grazie alle musiche spesso fuori tema e al ritmo sincopato e altalenante dei suoi sguardi, compiaciuti e intrigati dal fascino misterioso della faccia ingessata di Giulio Andreotti, portando a termine la realizzazione di uno dei film più inquietanti e eversivi della storia del moderno cinema italiano. Ma in quanti si sono accorti delle sue sfacciate e spaventosissime realtà?

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