Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
In realtà non si tratta dell'intera vita di Andreotti, perché il film parte dalla formazione del suo settimo ed ultimo governo.
Guardando il film, Sorrentino e Servillo mi hanno ricordato, rispettivamente, Petri e Volonté. Il primo per lo stile grottesco che punta a ridicolizzare i personaggi sottolineandone la mostruosità, il secondo per il piglio con cui si cala nel ruolo. Il nostro cinema aveva davvero bisogno di una coppia del genere, grazie a Dio!
Il Divo è una pellicola talmente carica di significato, che se ne potrebbe parlare per ore, ma vediamo di riassumere. Innanzitutto è un chiaro saggio sulla società italiana degli ultimi trent'anni: sul suo decadimento sociale e culturale, sulla volgarizzazione del popolo che ha portato alla conseguente volgarizazione della politica, sul potere fintamente democratico che prolifera e sull'egemonia religiosa che influenza e santifica il potere governativo.
Il film non condanna mai del tutto il personaggio di Andreotti, ma condanna il potere che qui Andreotti rappresenta. Non prende mai chiaramente posizione contro il Divo perché la verità (o la versione del regista della verità) non ci viene mai mostrata chiaramente, ma è sempre avvolta nella nebbia. E non è questa forse la sua critica più feroce? Il fatto che il potere (anche in una società democratica) tenga nascosta la verità ai suoi cittadini? Un'ambiguità così sottile che fa venire i brividi!
Non c'è dubbio comunque che la cosa migliore del film sia Servillo e la costruzione del suo personaggio. Un Andreotti mai completamente cattivo o completamente in buona fede, ma un Andreotti ambiguo e tormentato dal passato. Un Andreotti che si riveste della sua famosa corazza di cinismo solo per nascondere la sua fragilità ed i suoi sensi di colpa (specialmente per la morte di Moro). Un Andreotti oscuro e condannato alla solitudine, perché (visto il mestiere che compie) è incapace di comunicare e confidarsi persino con sua moglie. Un Andreotti affamato di fama e potere, ma che ha anche dei valori. Un Andreotti silenzioso e stanco, ma potente ed inquietante anche se a volte sembra terribilmente piccolo. Un Andreotti circondato da una pattuglia di fedelissimi a cui i Mostri di Dino Risi farebbero un baffo. Insomma, un Andreotti che Sorrentino spoglia del potere affinché emerga tutta la sua piccolezza.
Quando Andreotti si siede solitario sulla poltrona e si confessa allo spettatore, Servillo dà luogo ad una delle scene più toccanti della storia del cinema italiano. Qui il protagonista china il capo di fronte allo spettatore e sarà quest'ultimo che deciderà se assolverlo o meno. In questa magnifica scena, il Divo dice che per manetenere il bene, bisogna talvolta fare del male e che il terrore e l'omicidio non servono ad altro che ad allontanare il pericolo estremista e mantenere la democrazia intatta.
Personalmente (mi si scusi la digressione) non stimo affatto il personaggio di Andreotti, eppure Servillo è riuscito a stimolare in me un sentimento di pietà e comprensione.
Non assegno la quinta stella, perché avrei voluto un finale più esplicito.
Tabellino dei punteggi di Film Tv ritmo:2 impegno:3 tensione:2
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