Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Non è un biopic, sia perché prende in considerazione un ristretto giro di anni sia soprattutto perché non offre una ricostruzione biografica ma una deformazione caricaturale: più che alla tradizione del cinema civile alla Rosi, siamo vicini a opere come W. di Stone. Andreotti è una sfinge impassibile, che non dà mai risposte precise e si esprime attraverso aforismi e battute; la sua corte fornisce lo spettacolo di un potere putrefatto. A furia di buttarla sul grottesco si corre il rischio di fare apparire quasi simpatico il personaggio (con il suo perenne mal di testa), ma comunque ci vuole coraggio per affrontare argomenti ancora così brucianti e per farlo con inventiva, senza abbandonarsi alla pura denuncia. Però mi sembra esagerato definirlo un capolavoro, e trovo che abbia un paio di controindicazioni: 1) nonostante il glossario nei titoli di testa, non so quanto possa risultare comprensibile a uno spettatore straniero; 2) non credo possa segnare l’inizio di una nuova stagione per il cinema italiano, perché ha tutta l’aria di essere un pezzo unico: di Andreotti, grazie al cielo, ce n’è uno solo.
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