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Il Divo

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Il Divo

di hallorann
8 stelle

Giulio Andreotti ovvero il personaggio politico più noto e più discusso d’Italia. Classe 1919, dal dopoguerra a Tangentopoli un protagonista della nostra Repubblica, da delfino di De Gasperi a Presidente del Consiglio (per ben sette volte), oggi senatore a vita e fino a pochi mesi fa onnipresente nei banchi parlamentari. Prima di essere indagato per mafia e per l’omicidio Pecorelli, era la quintessenza del (potere) politico italiano, al quale si voleva bene e si perdonavano le malefatte. Uomo spiritoso dalla sagoma inconfondibile. Il regista Paolo Sorrentino, con coraggio, ha deciso di raccontare IL DIVO (soprannome datogli dal giornalista Mino Pecorelli, un Travaglio ante-litteram) Andreotti tra la settima e ultima Presidenza del Consiglio e il processo per mafia, prendendosi da una parte delle libertà (specie nel privato) e dall’altra mantenendo un’aderenza alla realtà a partire dalle dichiarazioni e dalle battute. Il film inizia con una costante dell’onorevole: le frequenti emicranie e l’umorismo nero talvolta macabro. Poi si susseguono una lunga lista di morti eccellenti in cui aleggia la sua ombra: Moro, Pecorelli, Ambrosoli, Calvi, Dalla Chiesa, Sindona, Lima e Falcone. Si arriva alla presentazione della chiacchierata corrente Andreottiana della D.C.: una delle più forti e più spregiudicate. Evangelisti, Sbardella, Cirino Pomicino, Lima, Monsignor Angelini e Ciarrapico, tutti annunciati con rispettivi incarichi e soprannomi. Strategie, feste, spartizioni, caduta del governo, manovre per la conquista del Quirinale, morte di Lima, primi avvisi di garanzia per Tangentopoli, morte della D.C., sfaldamento della corrente e perdita del potere. Avvenimenti che si alternano con i rapporti freddi e formali con la moglie Livia e la segretaria Enea, le confessioni notturne con don Mario e le apparizioni/incubo di Moro che dalla “prigione del popolo” di via Montalcini scrive lettere e lancia anatemi sul collega di partito. Intanto scoppia la “bomba” mafia: decine di pentiti con in testa Buscetta e Mannoia accusano il senatore a vita di collusioni con Cosa Nostra. L’amicizia con gli imprenditori Salvo tramite il capo corrente siciliano Salvo Lima, l’incontro con i boss Bontate e Badalamenti, il bacio con il superboss Totò Riina raccontato dall’autista Di Maggio. L’audizione parlamentare per l’autorizzazione a procedere, un’intervista inventata (ma con domande che tutti si sono posti) con Eugenio Scalfari e infine il processo. Alcune didascalie ci ricordano le assoluzioni per i reati di mafia, la condanna per la vicenda Pecorelli cancellata dalla Cassazione, ma il mistero e i dubbi permangono (e permarranno). Sorrentino non è per niente tenero con IL DIVO, lo descrive per quello che è (o che appare): un enigma, una figura ambigua e curiale, gelida e ironica, una maschera impenetrabile e imperturbabile interpretata con voce monocorde e fattezze simili ma non mimetiche dall’ottimo Toni Servillo. Un ritratto quasi funereo (anche del Potere), criptico e a tratti allegorico, girato (alla grande) con stile barocco (come le scenografie) ed espressionista (come la fotografia). Il regista reinventa il cinema di impegno civile dei maestri Elio Petri e Francesco Rosi, scandisce le azioni e le scene a seconda delle situazioni con musica rock, leggera, elettronica e classica arricchendo e completando la suggestiva cornice visiva. Egli essendo anche valido sceneggiatore delle sue opere, inserisce nell’avventurosa vita del protagonista (come recita il sottotitolo) un elemento che turba la sua coscienza: il fantasma di Aldo Moro. Affidando ad alcuni passaggi, molto duri e critici, tratti dalla famose lettere la chiosa finale sul Divo Giulio.

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