Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Leggi "La vita spettacolare di Giulio Andreotti" - il sottotitolo del quarto lungometraggio di Paolo Sorrentino - e ti aspetti Francesco Rosi, o magari Giuseppe Ferrara, o al limite Oliver Stone. Questo napoletano purosangue è invece capace di spiazzarti ancora, andando a firmare un film che sembra un'opera rock su uno dei personaggi più discussi e misteriosi che hanno attraversato indenni le vicende della Prima e della Seconda Repubblica. Il divo (da uno dei tanti appellativi che il politico democristiano per antonomasia si è guadagnato nel corso della sua lunghissima carriera politica) si concentra proprio su quel momento cruciale, quello della formazione del settimo governo Andreotti, alla vigilia del terremoto di Tangentopoli che avrebbe traghettato l'Italia verso la Seconda Repubblica. Sorrentino disegna un profilo a tutto tondo del "Divo Giulio", ricorrendo a una struttura a mosaico che ne mette a fuoco le amicizie poco raccomandabili con i vertici di Cosa Nostra, i rapporti con le gerarchie ecclesiastiche, il coinvolgimento nell'assassinio del giornalista Mino Pecorelli e la posizione assunta in occasione del rapimento Moro. Pari spazio viene concesso all'uomo, oltre che al politico Giulio Andreotti: la fervida pratica religiosa, le emicranie continue, il rapporto con la moglie Livia (Bonaiuto) e la segretaria Enea (Degli Esposti), ma anche la solitudine e gli apoftegmi carichi di cinismo e ironia, come quello secondo cui "bisogna avere amato tanto Dio per capire quanto male di vuole per ottenere il bene", epitome di un machiavellismo parossistico.
Incarnato da un prodigioso Toni Servillo che ne restituisce la postura inamidata e la sardonica opacità espressiva, l'Andreotti di Sorrentino finisce per essere l'icona del male in un film-invettiva che cura sommariamente l'aspetto documentaristico per concentrarsi sul linguaggio visivo. E allora protagoniste del film diventano le strade insolitamente deserte di una Roma spettrale, magnificamente fotografate da Luca Bigazzi, o le stanze damascate del Palazzo, nelle quali corre - con eccezionale potenza metaforica - lo skeateboard carico di tritolo che fu piazzato sotto l'autostrada che passa per Capaci. Immagini talmente ben congegnate ed evocative che fanno di Sorrentino il Kubrick italiano, il padrone assoluto della materia filmica.
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