Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
Progetto ambiziosissimo e reso possibile oggi data la veneranda età del senatore a vita Giulio Andreotti, considerata la soggezione sempiterna verso una figura anomala per l'Europa, un uomo di Potere saldo ai vertici dal dopoguerra e capace di rivestire incarichi come si indossano magliette, vituperato e apprezzato, temuto e invidiato, "Il divo" ha conosciuto una straordinaria affermazione all'ultimo festival di Cannes, dividendo la gloria italica con "Gomorra": casi insoliti per la tarda primavera nazionale, i due film d'autore stanno realizzando incassi importanti (questo un pò meno, ma è anche un lavoro meno da grande pubblico) e la stampa ne è stata entusiasta. Realizzato quasi totalmente su un registro grottesco, il film di Sorrentino ha un sarcasmo sottilissimo che pizzica pur raccontando con forte capacità di sintesi anni convulsi e complessi d'Italia come quelli attorno a Tangentopoli, e per tre quarti di pellicola si ha la sensazione di star vedendo un lungometraggio che spinge deciso nel segno del cinema di Petri, salvo giungere a un finale dichiaratamente drammatico. Servillo si conferma attore eccezionale, pur sotto un make-up massiccio che tuttavia non lo lascia assomigliare più di tanto ad Andreotti: attorno a questa figura modellata fisicamente sul Nosferatu murnau-kinskiano, più un non-vivo che un non-morto, si agita una corte nefasta che pare tenere in trappola il protagonista( Carlo Buccirosso su tutti, Pomicino mondano e baldanzoso). Cinema elegante, satira sofisticata e insieme quadro catastrofico su un'Italia recente che assomiglia troppo a quella odierna, densa di donnole e faine da palazzo, "Il divo" è un'opera probabilmente da vedere due o tre volte per essere gustata appieno.
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