Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film
"Che bomba di film!!". Mi tocca auto-citarmi e ripetere la stessa formula introduttiva di cui ho fatto uso per iniziare la recensione di "Gomorra". Allora è proprio vero che questi due film viaggiano in coppia, nel senso che -come hanno detto in coro a Cannes i due registi- si tratta di due pellicole che, benchè assai diverse come stile e ritmo, risultano complementari. Reduce dalla felice visione di "Gomorra", devo anche in questo caso esprimere tutta la mia soddisfazione. Un altro magnifico film. Anche se i presupposti, rispetto al film di Garrone, erano per quanto mi riguarda un attimo diversi, nel senso che mentre di Garrone avevo amato i due precedenti lavori, devo confessare che la visione di "L'amico di famiglia" mi aveva lasciato molto perplesso. Invece questa sua ultima opera è stupefacente e si avverte chiaramente che dietro c'è un lungo ed accurato lavoro di documentazione. A differenza di "Gomorra" che era un autentico pugno nello stomaco che ti lasciava impietrito dalla violenza senza scampo delle immagini, qui la regìa è molto piu' creativa, sofisticata, ha molte piu' occasioni di dipingere, ricamare, aggiungere, sottrarre...dato che la materia trattata (il personaggio Andreotti) è di per sè stessa assolutamente INAFFERRABILE, quasi come una sostanza chimica che si espande o si ritrae a seconda del caso o delle circostanze. Ecco quindi che Sorrentino non fa di certo la fotografia di un politico ma IMMAGINA una sua idea -umana e politica- di costui. E lo fa con un tocco creativo che sfiora il sublime, conferendo all'opera un'impronta personalissima, restituendoci un film indimenticabile, con personaggi vividi e palpitanti, spesso raffigurati con toni surreali e grotteschi ma che poi finiscono per assumere contorni realistici e indurre a noi dubbi e riflessioni su come era l'Italia in quegli anni per capire come è diventata oggi. Una sorta di compendio di tutti i "Misteri Italiani" che ci hanno tristemente accompagnato negli ultimi decenni e che -fatalmente- hanno tutti (ma proprio tutti) visto come sinistro e silente testimone il Nostro Uomo. Una figura quanto mai irrisolta, vagamente spettrale, un'autentica sfinge. Il genio di Sorrentino ha tratteggiato il personaggio con contorni che fondono la caricatura grottesca (il fisico, i movimenti, i gesti ricorrenti, gli sguardi cupi-catatonici) con una sorta di essere soprannaturale capace di attirare su di sè (come un parafulmine) tutte le vibrazioni negative che hanno mosso le scelte politiche italiane di un vasto arco temporale. E' un film di impianto in un certo senso tradizionale, ma che lascia spazio al regista per impennate sorprendenti e per guizzi inattesi. E il risultato è esaltante perchè, sulla base di film d'inchiesta e di denuncia (che sarebbe stato legittimo, anche se tutto sommato banale), Sorrentino imprime una serie di "sterzate" narrative e di divagazioni psicologiche che attribuiscono al film un'autorialità di rara pregevolezza. Se volessimo affrontare i numerosi personaggi che circondano il protagonista, il discorso si farebbe infinito, perchè questi sono davvero tanti (e tutti indicati con brillanti didascalie rosso-fuoco, con nomi e cognomi reali). E qui l'estro di Sorrentino si rivela eccellente, ci sono personaggi di cui è stata estrapolata proprio l'essenza piu' viva con pochi tocchi sapienti. Il piu' clamoroso di tutti è il Cirino Pomicino di Carlo Buccirosso (una interpretazione incredibile), qui raffigurato con tratti irresistibili, in tutta la sua cialtronesca intraprendenza;
e il Franco Evangelisti (un Flavio Bucci da applausi a scena aperta), espresso in tutta la sua rabbia repressa, covata da questo "sottopancia" di Andreotti, talmente saturo di frustrazione per la scarsa gratitudine ricevuta, da trasformarsi in testimone d'accusa verso l'uomo che aveva servito per tutta una vita. E l'arrogante balordo vendicativo Sbardella (detto "lo squalo", e a suo tempo vicinissimo a Comunione & Liberazione), impersonato da un ottimo Massimo Popolizio. Entusiasmante anche la figura di Livia, la moglie, rappresentata da un'Anna Bonaiuto mai vista così in forma, questa donna che è sempre stata docile nell'ombra del marito potente ma che, alla fine, nel corso di un rapido e secco scambio di battute a tavola, lo mette con le spalle al muro, lo zittisce, proprio nel momento per lui piu' diffcile. E, ancora, Giulio Bosetti, anziano e illustre attore di teatro ultimamente poco visibile, che dà vita, nei panni di Eugenio Scalfari, ad un interrogatorio-monologo di notevole spessore emotivo. E, ancora, Piera Degli Esposti, meravigliosa in un ruolo dolente e trattenuto. Insomma: quanto ad attori Sorrentino non s'è fatto mancare nulla. Toni Servillo, poi, si staglia su tutto ciò come un gigante, con una interpretazione (esagero?) da Oscar. Una di quelle performance destinate a rimanere in eterno nella Storia del nostro Cinema. L'Andreotti di Servillo non lo si può raccontare, bisogna vederlo, questo inquietante incrocio fra un alieno, una persona "malata" e un personaggio da galleria "horror". E ti credo che il vero Andreotti sembra "non abbia gradito"...Resta poi da vedere se sia piu' attendibile l'Andreotti di Sorrentino o quella specie di macchietta che vediamo spesso portata in trionfo da conduttori televisivi molto compiacenti. Ovviamente mi riferisco a quel Vespa che, subito dopo la sentenza del processo che lo vide per certi versi assolto e per altri condannato, accolse Andreotti scodinzolando e con piroette di gioia, stendendogli tappeti rossi ovunque camminava (che tristezza...). Penso ad una scena in particolare, per evocare la bravura di Servillo: quella in cui l'Onorevole si lascia andare ad un soliloquio che inizia piano per poi concludersi gridato, da pelle d'oca. Sui collegamenti con la mafia che vengono evocati nel film si può discutere, il materiale documentale è controverso, come sempre quando ci sono di mezzo dei pentiti, ci sarà senz'altro chi -legittimamente- dissentirà: io però mi schiero dalla parte di Sorrentino che secondo me ha saputo ricostruire sapientemente una complessa ragnatela di contatti, di meccanismi oscuri, di accordi sotterranei. Dal film risulta evidente la Solitudine del protagonista, il quale perfino con la moglie è contenuto e parco di parole. Con una sola eccezione: il suo parroco e confessore, al quale dice proprio tutto quello che ha dentro. Ci sono parole, anzi frasi, in questo film, che rimangono impresse e anche dopo la visione ti risuonano nella mente. Una su tutte: "Perpetuare il Male per garantire il Bene". Ecco. In queste quattro parole è riassunto tutto il pensiero che ha mosso le scelte di Andreotti, ma non solo: queste parole forse racchiudono l'anima oscura della vocazione salvifica in funzione anticomunista che ha guidato tutta la politica democristiana della Prima Repubblica (si pensi all'organizzazione "Gladio" voluta da quell'altro "uomo-enigma" che si chiama Cossiga...). Sempre in tema di frasi poi, è straordinario notare come quest'uomo per tutto il film si esprima quasi esclusivamente attraverso battute, senza accorgersi che tale eccesso di arguzia ostentata diventa poi un ridicolo clichè. E a questo proposito ci sono due momenti illuminanti. Quando, in sede di confessionale, il suo parroco gli dice: "Giulio, la tua ironia è atroce"; poi soprattutto, verso la fine, quando la moglie, estenuata da questo continuo sfoggio di sarcasmo in pillole perfino al desco famigliare, gli dice con espressione quasi nauseata: "...un'altra battuta!?!". Ma il momento piu' riuscito del film, quello che vale da solo il prezzo del biglietto, è collocato all'inizio: con nomi e cognomi, viene mostrato l'ingresso in scena dei vari componenti della corrente andreottiana, e lì è davvero uno spasso...e ci sono proprio tutti, c'è anche "l'orgoglioso fascista" Ciarrapico, ma la "soubrette" della compagnia è senza dubbio Cirino Pomicino (indimenticabile quando si lancia in una danza tribale durante un party). Ecco: la scena di questa "convocazione", è una di quelle a cui spetta di diritto di entrare fra le sequenze classiche del Grande Cinema Italiano, assieme alle scene storiche di film quali (cito due titoli a caso) "La dolce vita" o "Indagine su un cittadino". Una singolare constatazione: le sequenze "inventate", cioè quelle non documentate ma frutto della creatività di Sorrentino, anzichè apparire inserite forzatamente, finiscono per dare piu' forza all'opera, in quanto -pur essendo ricostruite- aiutano a capire la verità. In altri termini, sono sequenze non vere ma piu' verosimili del vero. Un cenno piu' che doveroso a quell'uomo di talento che porta il nome di Teho Teardo: si tratta di un ottimo musicista-compositore friulano che ha curato il commento sonoro del film. Teho proviene dalla scena rock indipendente, nell'ambito della quale operò genialmente negli anni '90 col gruppo dei Meathead: da qualche anno sembra occuparsi a tempo pieno di colonne sonore (per alcune è stato anche premiato), ma tuttavia io spero di poterlo ancora vedere un giorno suonare sul palco di qualche club, come ai tempi in cui apriva i concerti dei Biohazard o degli Helmet. Vorrei concludere con un invito a riflettere su quella frase che ho citato prima: "Perpetuare il Male per garantire il Bene", che a me mette i brividi. E penso quindi a quest'uomo che afferma di agire per conto di un "mandato divino". In altre parole, lui si sente "in missione per conto di Dio". Ecco: questo è il punto. Quei politici che sostengono di avere un filo diretto con Dio mi fanno paura, mi preoccupano. (Chi ci dice che costoro, magari in gran segreto, non facciano scelte nefaste nella convinzione di essere stati ispirati da Dio?). A proposito: sbaglio o Bush ha detto piu' volte di colloquiare con Dio??
Voto: 10
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