Regia di Alessandro Baricco vedi scheda film
Un film accademico, eppure lirico; storico, eppure fiabesco. Quest’opera, candida e fredda come la neve che le fa da sfondo, ci insegna come la realtà possa essere indagata, approfondita e spiegata con lo strumento della fantasia. L’uso della metafora qui non passa attraverso la precisa analogia razionale, bensì attraverso lo sfumato richiamo della poesia, che, come il professor Mondrian, chiude gli occhi sul mondo della cronaca per aprirli su quello interiore e sfuggente dei moti del cuore. Sprofondare in se stessi, come Beethoven negli anni della progressiva sordità, significa riconoscere che il silenzio può vincere sul rumore della Storia, e che lo stesso silenzio è il più bel preludio al tramonto della vita, allo “splendid dying” degli anni stanchi e assorti. Baricco ci racconta un avvenimento – il debutto della Nona Sinfonia a Vienna – guardandolo da dentro: l'"Inno alla Gioia" diventa così non un'esplosione di ottimismo, non un omaggio al futuro dell'umanità, bensì l'ultimo guizzo di un genio che muore, l'estremo sussulto di un corpo staccato dall'anima, che coglie il fugace balenare della bellezza, senza più poterne attingere il respiro.
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