Regia di Olivier Marchal vedi scheda film
Parlando di questo film il rischio è quello di andare a pescare da un repertorio di parole spesso abusate: cupo, oscuro, buio, nero, e via dicendo. E invece mai come stavolta questi attributi sono azzeccati, trattandosi di una pellicola DAVVERO incline al buio e al cupo. Ed è proprio questa sua chiave stilistica ad attribuirgli un irresistibile fascino. Erano anni che non mi capitava di vedere al cinema una così parossistica ed estrema rappresentazione del pessimismo come chiave di lettura delle vite umane e dei loro destini. Un pessimismo che ti prende alle viscere e ti scuote brutalmente, in questo "noir estremo" che affascina fin dalle primissime inquadrature. Premetto che il mio giudizio totalmente positivo non tiene in alcun modo conto delle due pellicole precedenti dello stesso regista (che con questa formano una ideale trilogia), in quanto me ne è sfuggita a suo tempo la visione. Che poi, definirlo "noir" forse non è del tutto esatto, perchè il film travalica i confini del genere, superandoli ampiamente, qui è tutto molto piu' angoscioso, nichilista e negativo, come negativo è lo sguardo pessimista del regista Olivier Marchal sulle miserie umane. Il mondo dipinto da Marchal è un inferno, un luogo di sofferenza in cui non vale nemmeno piu' la pena vivere, e dunque la violenza e la morte appaiono come le uniche entità che conducono alla liberazione. Che allegria eh? Eppure, badate, che è proprio questo registro tragico che rende il film seducente e affascinante (ovviamente per chi è disposto a farsene contagiare, va da sè che mica è un cinema per famiglie...). Efficace e potente il tormentato protagonista, Daniel Auteuil in gran forma, un poliziotto che cade a pezzi, lacerato nell'anima e consumato nel fisico, la cui dolente malinconìa moltiplica per mille quella di altri analoghi poliziotti "sgualciti" già visti sugli schermi. Questo detective umiliato in quanto privato di ogni dignità professionale, condannato ad una devastante solitudine, dominato dall'ossessione della ricerca della verità...è davvero un personaggio memorabile in ambito cinematografico. Il dramma ha come sfondo una Marsiglia di cui la cosa piu' positiva che si può dire è che pare continuamente battuta dalla pioggia: figuriamoci il resto; la città ci appare da subito ostile, oscura, inospitale. Il nostro detective porta sul volto consumato e ruvido i segni indelebili delle sue tragiche vicende famigliari, che hanno poi trovato come inevitabile sponda l'uso indiscriminato di alcool e sigarette: insomma un tipico caso di uomo alla deriva, con evidenti segnali autodistruttivi, il quale però fissa una propria ragione di vita (e/o di riscatto) nella protezione di un altro essere come lui condannato al dolore e all'ossessione dei ricordi, una giovane donna sopravvissuta ad un massacro. Piccola parentesi per segnalare la bravura di questa giovane attrice, la graziosissima Olivia Bonamy. Come si vede, una vicenda colma di dolore, pietà, tragedia. Ma oltre alla sceneggiatura, un ruolo primario ce l'hanno gli ambienti, le scenografie e soprattutto una fotografia -assolutamente "sporca"- che conferisce all'ambientazione del film un aspetto "malato" e in qualche modo disturbante. A dire il vero, è come se i film fossero due in uno, facenti capo entrambi alla figura del protagonista: due sono le tragedie omicide, due i serial killer, due i percorsi narrativi che procedono in parallelo, ma è inutile adesso qui soffermarsi sui dettagli, che ognuno potrà scoprire da sè vedendo il film, cosa che auspico voi facciate. Un discorso a parte merita la rappresentazione che viene tratteggiata del corpo di Polizia, che ne esce decisamente con le ossa rotte: un mondo composto da persone subdole, ciniche, ipocrite, corrotte...un tristissimo contraltare alla delinquenza e alla malavita. Ma la cosa piu' singolare in tutto questo è che Olivier Marchal -che del film è l'anima, avendolo scritto e diretto- è proprio un ex agente di polizia, e dunque conosce alla perfezione ciò di cui parla. Eppure, nonostante il film sia impregnato di cupo pessimismo fino al midollo, un finale tragico ma catartico indurrebbe ad individuare quasi un ideale passaggio di consegne tra la morte ed una nuova vita che nasce. Prima di concludere vorrei tributare un ulteriore omaggio a Daniel Auteuil, del quale ormai sottolineare la versatilità è diventato perfino banale: se diamo un'occhiata alla sua ormai lunga galleria di personaggi troviamo ruoli assolutamente differenziati, con scelte che alternano felicemente il comico al drammatico. E consentitemi di chiudere con un'amara riflessione personale. Il problema si ripresenta quasi ogni volta che vedo un film francese, sia comico o drammatico poco cambia. Perchè diamine i nostri cugini francesi riescono a realizzare un film di tale potenza e di tale "peso specifico" mentre noi italiani ce lo sognamo?? Se noi pensiamo che "Romanzo criminale" (che forse rappresenta il punto di qualità massima raggiunto da un film italiano poliziesco) se posto a raffronto con "L'ultima missione" ci fa una figurina assai modesta, beh, qualcosa che non va ci deve pur essere. Forse che noi agli Auteuil possiamo contrapporre giusto gli Accorsi, i Mastandrea o i Favino? Sarà una questione di sceneggiatori validi che mancano (come io sostengo da sempre)? O, chennesò, sarà una questione di soldi? Parliamone.
Voto: 10
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta