Regia di Olivier Marchal vedi scheda film
"Dio mi ha tradito e io lo punirò". E' questo il prologo del terzo grande film di Olivier Marchal. Le parole di Louis Schneider (un superlativo Daniel Auteuil) danno subito la misura della condizione esistenziale di un poliziotto ormai incapace di venire a capo delle tragedie che lo hanno segnato a vita. In una Marsiglia anestetizzata da ogni ammiccamento oleografico si aggira un mostro che sta seminando terrore e morte. Nel mentre Charles Subra (Philippe Nahon), un serial killer catturato proprio da Schneider venticinque anni prima, esce per buona condotta perchè una cura psichiatrica e il suo percorso mistico vengono ritenuti elementi sufficienti per condonargli l'ergastolo. Così il passato e il presente si incontrano e Schneider è nel mezzo, depotenziato dei suoi incarichi ma senza alcuna voglia di obbedire agli ordini visto il modo in cui il suo ordine è stato irrimediabilmente sconvolto. E poi arriva Justine (Olivia Bona,y), scampata alla furia omicida di Subra che investì i suoi genitori, che per Schneider rappresenta l'innocenza da preservare dalla corruzione dilagante, l'occasione di chiudere in bellezza una carriera votata a un declino irreversibile. "L'ultima missione" è un film che vira decisamente verso il noir e ritengo che a Marchal interessi più la riflessione sulle cause che hanno prodotto i mostri che l'indagine sugli effetti prodotti. Gli abomini dei seria killer di ieri e di oggi e i "macchiavellismi"a cui si assiste nelle segrete stanze della polizia, sono funzionali per elaborare la messinscena di una tragedia tipo del nostro tempo : quella di un mondo in cui tutto sembra corruttibile, mistificabile, ricattabile, dove la vittoria suprema è la conservazione perpetuata nel tempo di un sistema di cose disumanizzato e autoreferenziale. Tanto la religiosità di Subra, quanto l'ufficialità del rispetto dei regolamenti di polizia, rappresentano l'esteriorità di un mondo che regolarizzando l'inganno si è reso incapace di combattere i germi che lo faranno implodere. Il male diventa un concetto immanente, uno stato dell'animo che immobilizza al punto di partenza chi vi è direttamente partecipe e che rimanda sempre indietro, senza consentire di guardare avanti, chi ne ha subito gli effetti devastanti. E' difficile prescindergli se non rinnegando tutto ciò che si è stati, se non scendendo sullo stesso terreno dei mostri che si vogliono combattere. Schneider è un poliziotto al culmine della sua parabola esistenziale, è avvinto dalle sue tragedie personali e si carica del male di vivere che lo circonda, un uomo, come dice la collega Marie Angeli (Catherine Marchal), "distrutto che noi stiamo seppellendo vivo". Si aggira solingo in compagnia dei suoi fantasmi ed ha come ultimo e unico scopo quello di ricacciarli definitivamente indietro. Nel bellissimo finale, accompagnato da un montaggio alternato, il frapporsi continuo del momento della morte con quello della vita da il senso dell'altruistica ultima missione di Schneider : distruggere l'essenza maligna di un mondo votato all'autodistruzione per consentire agli uomini di buona volontà di guardare avanti. Nulla a che vedere col giustizialismo del poliziotto fai da te o col moralismo spicciolo. E' solo la presa d'atto che bisogna marcare con nettezza la differenza qualitativa tra un male che non conosce redenzione che è il logico corollario di un' umanità assetata di sangue e potere, e quello figlio della perdita dell'innocenza e del disincanto. Olivier Marchal è un ex poliziotto e mostra un'abilità nel maneggiare le cose di cui tratta che evidentemente gli deriva dall'esperienza diretta. Il suo cinema è nel genere ma lo piega alle sue esigenze stilistiche e lo usa come involucro per i contenuti fenomenologici della sua poetica. Come faceva il maestro Melville : usava il genere per parlare dell'uomo e del mondo.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta