Regia di Lajos Koltai vedi scheda film
Non è passato molto tempo da quando abbiamo visto un film al cinema, Lontano da Lei di Sarah Polley, bellissimo ed intensissimo, sulla vecchiaia e gli acciacchi che questa porta con sé. Forse si è ancora troppo legati al ricordo e alla bellezza di quelle immagini, per apprezzare un film come quello di Lajos Koltai, direttore della fotografia di alcuni degli ultimi film di Giuseppe Tornatore, che torna alla regia dopo il bellissimo Senza destino. Dimostrazione, quest’ultimo film, che uno più uno, al cinema, non fa sempre due.
Tratto da un romanzo di Susan Minot, ridotto per lo schermo dalla stessa scrittrice e da Michael Cunningham (autore del romanzo “The hours” e della sceneggiatura di “Una casa alla fine del mondo”), Un amore senza tempo é affidato ad un cast notevole, tutto al femminile: Meryl Streep, Natasha Richardson, Vanessa Redgrave, Claire Denis, Mamie Gummer, Glenn Close e Toni Collette. Un cast che si sperde nel lentissimo e ripetuto montaggio, con dissolvenze incrociate attraverso le quali Koltai entra ed esce dal presente della vita di Ann Lord, l’anziana signora che in punto di morte e in preda alle allucinazioni, rivela alle due figlie un amore segreto, tenuto nascosto per lungo, lunghissimo tempo. Le donne cercano di apprendere di più dal racconto della donna, ma man mano che Ann procede nella narrazione le due si trovano costrette a rimettere in discussione il loro rapporto e le scelte che hanno fatto nella vita.
Il regista, con una sceneggiatura già di suo abbastanza solida, non riesce a sintetizzare a trovare la via maestra, rispetto al romanzo della Minot. Alla fine non capiamo quale sia stato quel misterioso sbaglio di cui si parla dall’inizio del film, quale sia veramente il problema che genera il conflitto interno a Ann: se la notte d’amore con Harris, oppure l’incidente di Buddy che da quella è indirettamente causato, oppure ancora l’aver rinunciato ai suoi sogni di cantante, per essere più vicina alle figlie.
Inoltre il film è appesantito da alcune sequenze veramente imbarazzanti: basterebbe ricordare il ritorno a casa di Ann e Harris, dopo la loro prima e unica notte passata insieme, inconsapevoli della morte di Buddy, o il loro ultimo incontro, anni dopo, sotto una pioggia che non bagna (eppure Koltai sicuramente conosce il cinema di Antonioni e di Edwards). E ancora: la scena della farfalla luminosa, che di notte entra nella camera della protagonista e che lei, moribonda, insegue con leggero passo di danza per tutta la casa, è a dir poco ridicola. In generale, il film scorre in modo insostenibilmente melodrammatico, ma della peggior specie.
Molto curati e bellissimi gli ambienti, i costumi, che da Boston a New York ci mostrano un mondo che appartiene ad un secolo ormai passato, anche se non molto lontano, ma troppo soporifera l’intera operazione.
Giancarlo Visitilli
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