Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
La struttura caleidoscopica all’inizio è un po’ spiazzante e rischia di confondere le idee allo spettatore; ma poi le fila dell’intreccio cominciano a sdipanarsi. L’insieme corale mostra bene la pervasività del potere camorrista, che si estende a tutti i lavori, tutti gli ambiti della vita, tutte le classi sociali. Il film ha il pregio di evitare l’oleografia del criminale: nessun eroe, neanche negativo (come lo Scarface scimmiottato dai due ragazzotti con velleità di ascesa prontamente stroncate), solo una squallida routine in paesaggi che sembrano bolge infernali, con canzonette neomelodiche a fare da assurdo sottofondo e la vaga percezione dell’esistenza di un altrove (la trasferta di lavoro a Venezia). Altro suo merito è il rifiuto di ogni possibile soluzione autoconsolatoria, a parte il barlume di speranza rappresentato dal ragazzo che nel sottofinale si rifiuta di fare affari sporchi e torna a casa sua. Detto ciò, non mi sembra si possa parlare di un’opera epocale. Non ho capito il motivo della non sistematicità dei sottotitoli: in certe scene ci sono, in certe altre no, e non mi sembra che il discrimine sia dato dalla comprensibilità dei dialoghi.
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