Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
Gomorra è un film di fantascienza, un futuro che ha frenato bruscamente e si è fatto raggiungere da un delirante presente. Un Blade Runner del sottosviluppo in cui i replicanti hanno vinto sugli umani e senza manutenzione sono andati a male, persi in una desolazione morale propria del deserto sintetico delle loro sinapsi in silicio, prive di vita vera.
Fautori di mondi alieni dalle architetture incomprensibili frutto di logiche irrazionali, contorte in spazi ripiegati su sé stessi, specchi deformi di una comprensione intellettuale dell'esistenza distorta dall'assenza di dolore e di una qualsiasi empatia con i propri omologhi, irriconoscibili e mossi da istinti primari. La visione del futuro si ferma annichilita dall'evidenza del fallimento del progetto e si presta ad una prosecuzione orizzontale della specie, senza crescita alcuna, scandita dal soddisfacimento di bisogni immediati e mediati dalla violenza, interfaccia di unanime, primitiva comprensione.
Tratto dal libro denuncia di Roberto Saviano, Garrone anche sceneggiatore insieme all’autore del libro, estrapola cinque storie e le interseca in un montaggio alternato di stampo quasi altmaniano (benché il film non sia un film propriamente corale) di straordinaria efficacia drammatica.
Sono le storie di Totò, bambino iniziato alla vita mafiosa e Maria barricata in casa per paura di rivalse dovute alla decisione scissionista del figlio; Ciro e Marco due guappi che scimmiottano il Tony Montana di De Palma; Pasquale sarto artista che si vende ai cinesi; Franco imprenditore nel ramo dello smaltimento (illegale) di rifiuti tossici per le aziende del nord; Don Ciro, il “sottomarino” che porta i soldi alle famiglie dei carcerati.
Storie affogate in una fotografia sporca ed evocativa, recitate in modo superbo da attori professionisti per quanto riguarda le parti principali e lasciate alla spontaneità dei corpi e delle facce di attori non professionisti per tutti gli altri ruoli. Fantascienza si diceva, corpi e facce aliene atterrate sul mondo su un’astronave impossibile, le vele di Scampia, nel lurido degrado di una terra violentata dal Male, quello con la M maiuscola. Mafia, Saviano nel suo libro chiariva subito un concetto: la mafia non esiste in realtà, neppure la camorra. Sono termini per giornalisti e per tutto quel resto del mondo che ancora non ne fa parte. Si chiama Sistema, in realtà la rete organizzata di spaccio, di violenze, di ricatti, di collusioni, di soldi, di morti. Sistema economico in prima istanza, quello che si muove sotto quello istituzionale e che muove miliardi di euro. Sistema di vita, soprattutto, quello allo stremo di questi protagonisti filmati nelle funzioni vitali che li muovono, nelle logiche che li uccidono. Il film di Garrone è straordinario in questo senso, riesce a trovare un miracoloso equilibrio tra film di denuncia e documentario, rifiutando contemporaneamente sia la retorica da reportage giornalistico che la drammatizzazione epico romantica degli Scorsese e dei De Palma. Entomologico, filtra con la camera attraverso le strutture fatiscenti dei palazzi, nelle aree dimesse, gli sguardi persi nel nulla o indifferenti a quel nulla, ne registra gli umori e i suoni.
L’immersione nel microcosmo criminale è totale e totalizzante, meraviglioso il lavoro sui suoni diegetici e fuori campo, ovattati e lontani, la musica napoletana neo romantica che urla dagli altoparlanti delle auto raccontando di amori contrastati mentre la gente si spara per strada, in una idea di romanticismo che nulla ha che fare con il sentimento quanto con il sentimentalismo melodrammatico proprio della tradizione napoletana, passionario ed eccessivo. Il continuo frusciare dei soldi che passano compulsivamente di mano in mano, le urla delle sentinelle appostate negli anfratti della mostruosa costruzione in cemento e ferro, che annunciano l’avvicinarsi di un’auto sospetta. Nomi gettati di finestra in finestra come ripetitori, lo schiocco delle armi, sirene che rimbombano in lontananza, gli spari fuori campo. Il linguaggio incomprensibile e giustamente sottotitolato forma la colonna sonora di suoni alieni che narrano di un mondo sconosciuto che annichilisce le persone, le vite i talenti. Ecco quindi che le cinque storie sono i livelli sui cui il Sistema si appoggia decidendo del destino delle persone, azzerandone individualità e speranze. Non c’è percezione del futuro in Gomorra, è un’istantanea bloccata su riti e usanze primitive, senza usare la parola cultura che sarebbe troppo, in cui il capo tribù decide della vita e della morte dei suoi sottoposti. L’annichilimento della speranze di un bambino, Totò, plagiato ad essere criminale nell’età in cui nulla è sbagliato se non educato. L’affossamento del talento del sarto Pasquale, confinato come un topo nel sordido laboratorio in cui è sottostimato e sottopagato. L’azzeramento di qualsiasi remora morale e l’abbattimento di qualsiasi regola nel distruggere il territorio in cui si vive avvelenandolo sistematicamente con i rifiuti tossici. L’annientamento fisico dei rivali, seppure di piccolo cabotaggio, seppure appena ragazzini con il mito dei grandi criminali dei film di gangster. Tutto concorre a non offrire via di fuga, a non lasciare spiraglio alcuno ad una vita diversa da quella che si è abituati a conoscere. L’impossibilità di operare una scelta è il mattone principale su cui si fonda un sistema al quale nessuno si ribella, dal quale molti si lasciano condurre mentre tutti fanno finta di non vedere. Garrone vede invece, di uno sguardo puro e slegato da temi, da denunce da sovra scritture. Lascia scorrere i suoi attori naturalmente ed essi rispondono esattamente come sono, non “facendo finta che”. Un nuovo neo realismo, non didascalico, lontano dalla telefiction. Non c’è drammatizzazione alcuna nelle disperate vicende dei protagonisti, la potenza del film è delegata tutta alle immagini svettando su tratti veristi talmente lancinanti e assurdi da ambire a vette surreali. Non ci si crede, tutto qua, non si crede che possa esistere un sottomondo così assurdo, in cui tutto è merce, uomini compresi, e tutto ha un prezzo sempre più basso. Un mondo bruciato dal sole e lasciato morire, colonizzato da alieni e da mostri immondi così che la bocca dello stomaco alla fine si chiude su una ruspa che al tramonto alza i bracci al cielo come una bestia trionfante sui piccoli corpi umani e li trasporta chissà dove, per divorarli.
Il cinema italiano riparte da qui, da questo film e da questo linguaggio, da questa narrazione sincopata e raccolta intorno ai volti piantati sopra sfondi di delirante infelicità. Linguaggio di sensazioni più che di parole, scansione di immagini che non spiegano ciò che succede ma ciò che si sente, una sonda ficcata nel corpo di un perenne morente di cancro e proiettate all’esterno in modo da registrarne gli effetti, cercando di capire come si possa essere arrivati ad un punto simile, impantanati nella consapevolezza che ormai non c’è più nulla da fare. Questo film, è assolutamente da Palma d’oro.
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