Regia di Giuliano Montaldo vedi scheda film
Nella Russia zarista, Dostoevskij incarna la modernità, che, però, rifiuta la rivoluzione cruenta e si identifica, invece, con la pratica della libertà di pensiero e l'esercizio dello spirito umanitario. Questo è il tema del film: un film che, però, è poco letterario, poco politico, ma molto "spettrale", come l'ispirazione che non si riesce a cogliere e la cospirazione che cova nel buio. L'atmosfera, quando non è cupa, è lattiginosa, perché quest'opera ama la penombra del dubbio e la nebbia gelida dell'incertezza e del disincanto, che sottraggono luce e calore alla realtà. L'intellettuale è solo, se è lontano dal popolo, e le sue idee sono inutili, se si librano al di sopra del mondo, nell'impossibilità di cambiarlo. La Russia ritratta da Montaldo non è quella di Eisenstein, delle masse e dei grandi movimenti, bensì quella degli individui isolati, tormentati e sparsi, come nel cinema di Sokhurov e di Tarkovskij.
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