Regia di John Guillermin vedi scheda film
Del King Kong originale, fino a quel momento, era stato fatto soltanto un sequel (Il figlio di King Kong, 1936) e era apparso in alcuni adattamenti giapponesi di Ishiro Honda per la Toho nel quale combatteva contro Godzilla e altri kaiju, e la pellicola del 1976 fu il primo rifacimento (il secondo è stato quello di Peter Jackson del 2005) della pellicola omonima di Merian C. Cooper & Ernest B. Schoedsack realizzato per conto della RKO nel 1933, e per la sua versione il produttore Dino De Laurentis, che riuscì ad aggiudicarsi i diritti dopo un’aspra contesa durata diversi anni, mise a disposizione un budget di 25 milioni di dollari.
Per la regia la scelta cadde invece sul britannico John Guillermin, regista sensibile alle avventure catastrofiche e reduce dall’enorme successo de L’Inferno di Cristallo, ma arrivò soltanto dopo una lunga serie di rifiuti eccellenti, da Steven Spielberg, la prima scelta di De Laurentis, ai vari Roman Polanski, Milos Forman, Sydney Pollack, Michael Winner e, addirittura, Sam Peckinpah.
Il regista britannico aveva già, nel suo periodo inglese, un background di film esotici, come alcune pellicole dedicate a Tarzan, o di ambientazione coloniale, come Cannoni a Batesi e, come detto, aveva già una certa esperienza con gli effetti speciali e pellicole ad alto tasso di spettacolarità.
Per la colonna sonora venne chiamato invece il bondiano John Barry, inglese come il regista.
Il risultato è un kolossal fantascientifico/avventuroso in questo caso declinato maggiormente al filone catastrofico, molto in auge negli anni’70, affidando la sceneggiatura a Lorenzo Semple Jr. (Perché un assassinio, I Tre Giorni del Condor, Uragano, Sheena - Regina della giungla) con l’indicazione di realizzare qualcosa di diverso dell’originale, aggiornandolo ai tempi moderni e che risultasse meno cupo e con più senso dell’umorismo, seppur comunque “abbastanza” realistico (!).
Il film si pone come remake del titolo del 1933 ma cambiandone ambientazione e tematiche lo rendono pedantemente “figlio” della sua epoca, anche in virtù di una concezione ambientalista e anticapitalistica difficile anche solo da immaginare negli anni’30, inclusa una contestualizzazione, storica e sociale, fortemente influenzata dagli anni’70, con la sceneggiatura tesa a contestualizzare il passaggio dall’America della Grande Depressione a quella del Watergate e della crisi energetica, e con la spedizione non più ad opera di una troupe cinematografica ma da una compagnia petrolifera alla ricerca di nuovi giacimenti di oro nero.
La storia di base, pur con qualche cambiamento per i personaggi, rimase invece pressoché fedele all’originale, puntando maggiormente l’attenzione sugli eccellenti, rivoluzionari per l’epoca, effetti speciali, ma senza però riuscire e conservare unità e linearità alla storia.
Rispetto alla successiva visione di Peter Jackson, totalmente incentrata (persino troppo) nel ricreare l’atmosfera “vintage” degli anni 30 dell’’originale, la versione del’76 si configura invece ultra-modernista, completamente presa dall’attualizzare la storia al contemporaneo, e passando quindi dall’art déco dell’Empire State Building ai parallelepipedi squadrati delle Torri Gemelle, all’epoca i grattacieli più alti del mondo (soppiantando proprio l’Empire State Building) e simbolo architettonico del New Formalism americano.
Si fa spesso riferimento ai conquistadores spagnoli comparandoli agli avidi imprenditori petroliferi del film, sia nell’espoliazioni di beni culturali e naturali delle popolazioni indigene, di cui fa parte anche King Kong, che nell’incapacità di comprenderne la cultura o la religiosità, Kong viene poi trasportato nella stiva di una grande nave come gli schiavi africani nelle navi negriere, mentre l’industria petrolifera delle sette sorelle, rappresentate dell’immaginaria Petrox, viene ridicolizzata dal pacchiano involucro a forma di distributore di benzina in cui è prigioniero Kong per l’esibizione.
Per gli effetti speciali l’italiano Carlo Rambaldi fu stato insignito del premio Oscar, unica vittoria del film a fronte di tre candidature.
Forte di un budget di 5 milioni di dollari e di un'equipe di circa 200 tecnici e disegnatori,
Rambaldi, incaricato della direzione degli effetti visivi dopo il rifiuto di Mario Bava, realizzò il suo King Kong basandosi su una serie di fotografie realizzate da Federico De Laurentiis, figlio di Dino e produttore esecutivo del film, usando come modello il gorilla Bum, trovato in uno zoo locale, e usando maschere facciali, ognuna in grado di simulare diverse espressioni faciali grazie a una serie di radiocomandi, una sagoma meccanica di 12 metri e sezioni di braccia e zampe di 4 o 6 metri, rivestiti con quasi 500 chili di crine di cavallo, acquistati espressamente dall’Argentina, e mosse da complesse interazioni tra circuiti elettrici, sistemi idraulici e computerizzati, oltre a un costume a grandezza d’uomo indossato prevalentemente da Rick Baker, che si è occupato anche del design della creatura.
L’animatronica, comunque, mostra i suoi limiti nell’innaturale lentezza dei movimenti e deve ricorrere a sovrapposizioni ottiche, anche piuttosto mediocri, per funzionare.
Tuttavia, il ruolo reale di Rambaldi è stato spesso oggetto di discussioni e successivamente ridimensionato, vedi le interviste a Alexandre Poncet e John Landis, dando maggiore credito al lavoro invece di Rick Baker.
Leggenda vuole che il ruolo di Dwan, con le lettere volutamente spostate rispetto al più canonico Dawn, fosse stato pensato per Barbra Streisand ed è stato al centro di una lunga selezione di attrici, tra cui Kim Basinger e Melanie Griffith, infine furono scelte Bo Derek e, successivamente, Britt Ekland ma entrambe rifiutarono il ruolo.
Pare che anche Meryl Streep fosse tra le candidate ma scartata da Dino De Laurentis perché, testuali parole, “Troppo brutta per Kong” come da lei stessa raccontato in un’intervista del 2008 al David Letterman Show spiegando di aver sentito il commento in italiano dallo stesso produttore non immaginando che lei potesse capire la sua lingua.
Alla fine, fu scelta una bellissima modella di New York, Jessica Lange, al suo debutto al cinema e che contribuì fortemente ad accentuare l’erotismo della parte.
Un rifiuto molto doloroso fu invece quello di Fay Wray, protagonista femminile del film del’33, al cui fu offerto un cameo nel film che però respinse dopo aver letto la sceneggiatura, non trovandola di suo gradimento.
Il cast è completato da Jeff Bridges, Charles Grodin, Ed Lauter, John Randolph, Julius Harris e René Auberjonois.
Nonostante i giudizi “variegati” della critica d’oltre oceano, il King Kong di Dino De Laurentiis fu un grandissimo successo di pubblico e ha ancora oggi un’ampia fetta di cultori, vuoi un po' per il suo fascino estremamente vintage o vuoi per gli effetti speciali, anacronistici ma affascinanti, di Carlo Rambaldi.
Ma chi ha amato l’epica e la meraviglia dell’originale del’33 non potrà che restare deluso da questo costosissimo remake.
Il prodotto finito infatti assomiglia più a un film catastrofico che non a un’avventura dalle sfumature horror, scompare l’epica e il romanticismo d’antan dell’originale sostituito da un erotismo pacchiano tra la bellissima debuttante Jessica Lange e un gorilla antropomorfizzato in una versione ridicola de La Bella e La Bestia.
“Se da bambino avessi visto il King Kong del 1976 e non quello del 1933, ora di mestiere farei l’idraulico” - Peter Jackson
P.s. Esiste anche una versione televisiva più lunga di 45’ mentre, nel 1986 venne realizzato un sequel piuttosto ridicolodal titolo King Kong Lives e ribattezzato in Italia King Kong 2 (evviva la fantasia!), ancora prodotto da De Laurentis e diretto sempre da John Guillermin su cui però è meglio far finta che non sia mai esistito.
VOTO: 6,5
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