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21

Regia di Robert Luketic vedi scheda film

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La recensione su 21

di Speusippo
6 stelle

Che lo scrittore Ben Mezrich abbia fiuto per le storie che sbalordiscono è indubbio. E indubbia è anche la sua maestria nella stesura di romanzi non-fiction. “The social network”, acclamatissima pellicola di David Fincher che nel 2011 si è aggiudicata quattro Golden Globe e tre Oscar, proviene da uno dei suoi romanzi, ossia “Miliardari per caso”, dedicato alla nascita e all’ascesa di Facebook. Prima di quel romanzo e del film di Fincher, però, Mezrich era già riuscito a conquistarsi il grande schermo con un’altra pellicola. Trattasi di “21”, opera diretta da Robert Luketic e ispirata a “Blackjack Club”, romanzo pubblicato da Mezrich nel 2002.

 

All’interno dei trentadue agili capitoli di “Blackjack Club” lo scrittore originario di Princeton propone al lettore un testo polimorfo e accattivante nel quale si mescolano le movenze di un’inchiesta giornalistica, le adrenaliniche peripezie di un thriller, le venature di un poliziesco, le attente sequenze descrittive di un romanzo realista, e temi alquanto variegati: la sete di denaro, il desiderio di rivalsa, il topos del doppelgänger, amicizie e conflitti, la contrapposizione tra città profondamente antitetiche quali Boston e Las Vegas. La storia principale, che si sviluppa lungo un arco temporale compreso tra il ‘94 e il ’98, pone al proprio centro la figura di Kevin Lewis – in realtà, Jeff Ma: compare in una scena di “21” e oggi lavora per Microsoft. Kevin, studente di origini asiatiche dalle doti prodigiose, è iscritto ai corsi del prestigiosissimo MIT di Boston, dove viene reclutato da una squadra di contatori di carte capitanata dal docente Micky Rosa – in realtà, il professor Bill Kaplan, oggi a capo di alcune compagnie legate all’informatica e al mercato immobiliare. Il gruppo, composto esclusivamente da cervelloni, vola a Las Vegas nei fine-settimana per giocare ai tavoli da blackjack applicando un metodo matematico attraverso il quale riesce costantemente a vincere. I guadagni vengono poi ripartiti tra il professore e gli studenti. Entrando nel club, Kevin sconvolge la propria esistenza. Imprese rocambolesche, lusso sfrenato, serate ad alta tensione, travestimenti, tradimenti, violente rotture, investigazioni, guerre invisibili, e centinaia di migliaia di dollari. Al termine del romanzo, Kevin è un uomo lontano dal goffo giovanotto che bazzicava ingenuamente i corridoi del MIT: l’esperienza all’interno del Blackjack Club lo ha segnato, mutandone consapevolezze e prospettive. Nel frattempo, oltre alle vicissitudini di Kevin, il lettore ha potuto scoprire molto circa i retroscena del macrocosmo di Las Vegas, la città dell’azzardo.

 

Robert Luketic, affermatosi grazie al successo commerciale del film “La rivincita delle bionde”, in “21” traspone sì la vicenda contenuta nel valido romanzo di Mezrich, ma optando per alcuni cambiamenti. La storia, infatti, risulta sfrondata e priva del suo originario polimorfismo: complessivamente, “21” racconta la rivincita e l’affermazione di Ben Campbell – alter ego di Kevin Lewis e, ancor prima, di Jeff Ma – con una narrazione dall’andamento romanzesco in cui non mancano colpi di scena e sequenze coinvolgenti. Alcuni personaggi, poi, in “21” risultano sottoposti a un dubbio processo di whitewashing. Stereotipati, inoltre, sono certi elementi legati alla rappresentazione del contesto statunitense, in particolare quello del college. Nonostante ciò, “21” non si configura come una pellicola degna di disprezzo. Luketic, infatti, attraverso scelte tanto semplici quanto intelligenti riesce a costruire un film che, pur non inglobando la preziosa varietà del romanzo di Mezrich, possiede dei chiari punti di forza: il ritmo del racconto è ben calibrato, lento nella tediosa Boston e intenso nella frenetica Las Vegas; i colpi di scena, presenti in più punti, risultano sovente ben congegnati; le sequenze dedicate al gioco del blackjack e al sistema di conteggio, forse le più complesse da trasporre, funzionano brillantemente; Kevin Spacey e Laurence Fishbourne, le cui prove spiccano benché il cast risulti generalmente credibile, interpretano in maniera convincente i ruoli degli antagonisti; la fotografia, pur non offrendo soluzioni folgoranti, riesce a catturare con efficacia la bipolarità che disgiunge le due città che animano le vite dei personaggi principali; la vicenda di Ben, che ha i tratti del bildungsroman, scorre senza contraddizioni o debolezze; le ambientazioni, dallo studio del rettore di Harvard alle lussuose suite in cui albergano i membri del club, spesso presentano un altissimo grado di realismo: alcune scene, infatti, sono state girate all’interno dei veri casinò di Las Vegas; infine, la colonna sonora che accompagna la pellicola può considerarsi azzeccatissima: la vivace “Shut Up And Drive” di Rihanna per le scene di divertimento nei casinò, i Kasabian remixati dallo spumeggiante Mark Ronson per le follie in discoteca, l’innografica “Time To Pretend” degli MGMT in apertura e l’esplosivo Soulwax remix di “You Can’t Always Get What You Want”, tra i brani più conosciuti del repertorio dei Rolling Stones, per il finale.

 

Nonostante le mancanze e le discutibili scelte menzionate in precedenza, “21” è una pellicola di buona fattura: all’interno di un contesto dalle coordinate sistematicamente statunitensi, pone solidamente in scena una storia di formazione unica e avvincente. Non sconvolge gli animi e non muta le coscienze, ma funziona.

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