Regia di Robert Luketic vedi scheda film
Un gruppo di studenti molto dotati in matematica tenta, sotto la guida del loro astuto professore, di arricchirsi giocando a black Jack in quel di Las Vegas, patria del gioco d’azzardo. Le cose non andranno come da loro sperato…
Il gioco d’azzardo o la propensione dell’uomo a sfidare la fortuna e da essa sperare di ottenere la giusta ricompensa, è pratica probabilmente antica come il mondo. Ingenua agli inizi, legata a scaramanzie e “metodi” più o meno scientifici, più tecnica in questo film di Luketic, dove il conteggio delle carte al tavolo da gioco assurge a teorema matematico; ma, come diceva Sam “Ace” Rothstein in “Casinò”, “il banco vince sempre, perché le probabilità sono a suo favore”. Il capolavoro di Scorzese è senz’altro l’ingombrante e improponibile termine di paragone per questo lavoro che però ne ribalta la prospettiva, tentando di raccontare tale mondo dal punto di vista del giocatore. Con risultati poco efficaci, complice una stesura scenica poco credibile ed incredibilmente patinata; levigatura anche emozionale, che lascia l’analisi motivatoria sempre in superficie, non riuscendo a stanare il “demone” nascosto all’interno, consapevolmente o no, di ogni giocatore. Ho trovato poco convincenti, inoltre, sia la sceneggiatura che la messa in mostra pratica delle partite a black jack, vuoi per la complessità degli assunti matematici sviluppati dal truffaldino team (esemplificati, inizialmente, in maniera abbastanza vaga dai pensieri dell’imberbe Ben Campbell/Jim Sturgess), che per alcuni passaggi che appaiono senza senso, come pretendere di non attirare l’attenzione dei gestori dei vari casinò usando sempre gli stessi segnali concordati o facendo vincere sempre la stessa persona…. La progressione del personaggio principale da nerd occhialuto a capobranco sicuro di se, poi, inanella una serie di banalità e semplificazioni a volte imbarazzanti; a completare il quadro, dei colpi di scena stratelefonati, interpreti fuori parte e antipatici ed un finale obbrobrioso. Si salvano solo i malinconici personaggi interpretati da Laurence Fishborne e Jack McGee, emblemi viventi della coscienza sporca della città del gioco. Nel breve periodo, quasi sullo stesso argomento, molto meglio il lavoro di John Dahl del 1998, “Il giocatore” (consiglio la lettura della playlist “JOHN DAHL E LA CRITICA CURIALE” di Marcello del Campo).
D'accatto.
Schematica.
Fuori parte.
Esca.
Stereotipato.
Malinconico.
Ininfluente.
Soprammobile.
Mesto.
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