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Due Magnum .38 per una città di carogne

Regia di Mario Pinzauti vedi scheda film

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La recensione su Due Magnum .38 per una città di carogne

di moonlightrosso
3 stelle

Hai richiesto Alain Delon? Eccoti Dino Strano...

Caposaldo della filmografia di Mario Pinzauti, autentico alfiere dell'ultrapoveristico (da non confondere con l'omonimo ex direttore di GR3), già autore sotto svariati e fantasiosi pseudonimi anglofoni di alcuni romanzi vergati per la rivistella per adulti "I Raconti di Dracula", acquistabili in un tempo ormai remoto nelle edicole per poche centinaia di lire.

Grazie ai buoni uffici di Aldo Crudo, scenegggiatore di lungo corso del nostro cinema minore (suoi i copioni della famigerata pentalogia fantascientifica a firma di Alfonso Brescia con il suo delirante epilogo hard), il nostro abbandonò i miserrimi guadagni ottenuti dall'editoria catapultandosi nel dorato mondo della celluloide. Trovandosi a dirigere in prima persona una manciata di poverissimi films di genere, dovette suo malgrado scoprire  che i "lauti" compensi promessi venivano il più delle volte corrisposti (sono parole sue) in cambiali insolute.

In questo pseudo-noir non scevro di spunti autobiografici, il Pinzauti ci propone la storia di uno scrittore fallito a nome Franco Palermo (ogni riferimento a fatti o persone non è puramente casuale), già al soldo del potente boss mafioso Zio Calogero. Girovagando nottetempo pei viali della capitale a bordo di una scassatissima "Fiat 1500", unico catorcio messo a disposizione dalla sgangherata produzione organizzata dal famigerato Candido Simeone, il nostro ritrova all'ombra di un platano e alla luce di un falò la sua ex stenografa Silvia a svolger la professione più antica del mondo assai più remunerativa della precedente. Liberata dal giogo del suo violento protettore Piero Turchi, più volte allontanato a suon di sberle, Franco finirà invischiato in un giro che vedrà coinvolti esponenti della malavita romana, nonchè alcuni notabili dei cosiddetti ambienti "bene" della città.

Non disponendo nè di Alain Delon, nè tantomeno di Al Pacino o Marlon Brando, il Pinzauti deve accontentarsi per il ruolo del protagonista, del catanese Dino (all'anagrafe Agatino) Strano, soprannominato nell'ambiente come "il Dean Stratford (così amava firmarsi) di Centocelle", prendendo spunto dal quartiere romano nel quale probabilmente abitava. Perennemente agghindato con parrucchini talmente improponibili da far invidia a Pippo Baudo e Francesco Mandelli (il vecchio dei "Due Soliti Idioti") messi insieme, il nostro conchiuse la sua miseranda carriera come hardista per caso per il gran maestro del trash Renato Polselli e la sua allegra brigata, controfigurato per ironia della sorte (proprio lui che aveva iniziato come controfigura) nelle squallide scene esplicite che lo vedranno coinvolto.

A fianco del nostro cane sciolto dal pugno facile, consapevole di non essere un genio letterario ma di saper scrivere "merda...soltanto merda" (e anche qui, aggiungerei, il riferimento a fatti o persone potrebbe non essere puramente casuale) si muovono alcuni buoni caratteristi del nostrano cinema d'azione: la finta teutonica ma napoletana verace Erna Schurer (al secolo Emma Costantino) nel ruolo di un'ambigua e viziosa pittrice; un impareggiabile Guido Leontini nella parte di "Sergio Er Piattola", viscido esattore della malavita romana e nelle vesti della prostituta Silvia quell'Ofelia (qui Anna Maria) Meyer che conosceremo meglio nel contrabbandiere fulciano dove si farà arder la guancia con la fiamma ossidrica per aver tentato di gabbare la pericolosa banda di spacciatori capitanata dal cinico Marcel Bozzuffi.

Tornando a noi, non possiamo non citare, nella parte di un cinico picchiatore, il gargantuesco culturista iraniano Iloosh Khoshabe, noto a Cinecittà per aver interpretato alcuni Maciste a basso budget e presentato nei titoli di testa come "il ritorno di Richard Lloyd" (sai che roba!); l'efficace magnaccia Gianni Musy; l'incontrastato monarca della nostrana serie Z Gordon Mitchell (altro immancabile cattivo) e un malcapitato Luigi Pistilli in parte del solito commissario che, non cavando un ragno dal buco, fa doppiamente una trista figura in sì scalcinata produzione.

Glissando su miserabili figuranti raccattati là per là essendosi probabilmente esaurito tutto il budget (i due picciotti sono qualcosa di impareggiabile); sul doppiaggio fuori sincrono, nonchè sulla colonna sonora di Bruno Nicolai spudoratamente riciclata da altre pellicole, il Pinzauti, forte della sua esperienza di narratore per noi lettori di poche pretese, si dimostra in grado di elevare una vicenda altrimenti inverosimile e campata per aria a un rango di colpevole godibilità, anche e soprattutto per la presenza di soluzioni ad altissima gradazione di trash: la testè citata "Fiat 1500";  i criminali sghignazzanti nel sogno del protagonista truccati e deformati in maniera talmente maldestra da sembrare, più che figure inquietanti, ridicoli pagliacci da circo; il finale a sorpresa con i mandanti dell'organizzazione, che, una volta scoperti, invitano il nostro eroe a non giungere a soluzioni affrettate (cosa???), il tutto corroborato da atmosfere malsane quasi "alla Di Leo" (il fumoso night club con bisca organizzata nel retrobottega; il fatiscente sfasciacarrozze; le trattorie covi della criminalità). A ciò aggiungiamo alcuni apprezzabili inseguimenti in auto (realizzati come si può) e numerosi pestaggi intrisi di quella gratuita e ottusa violenza squisitamente settantiana e da noi tanto amata. Poche le situazioni erotiche (forse complice la bruttezza del protagonista ma comunque in grado, a detta della Schurer, di mandare le donne "su di giri" (altro riferimento autobiografico???) e parimenti pochi i nudi femminili con la sola medesima Schurer a esibir un paio di tettine a onor del vero un po' miserelle.

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