Regia di Craig Brewer vedi scheda film
Black Snake Moan è uno di quei rari film che si affrontano sottovalutandoli, e poi ci si rende conto che possiede parecchi contenuti di valore con una narrazione snella, scorrevole ed elegante, intervallati da scene anche cruente e dure, dal realismo tosto e non censurato. Un’opera da apprezzare, che rimarrà impressa positivamente nella memoria ...
Black Snake Moan è uno di quei rari film che si affrontano prendendoli sottogamba, cioè sottovalutandoli, e poi man mano che si prosegue nella visione ci si rende conto che possiede parecchi contenuti di valore che vengono progressivamente offerti al pubblico con una narrazione snella, scorrevole ed elegante, intervallati da scene anche cruente e dure, dal realismo tosto e non censurato. La storia c’è e cattura lo spettatore dall’inizio alla fine, gli attori fanno tutti la loro parte fino in fondo rendendo credibile ogni sequenza. La giovane protagonista, interpretata dalla bella Cristina Ricci, fisicamente minuta ma dalle proporzioni somatiche assai sensuali, una volta sarebbe stata definita indubbiamente ed impropriamente una “ninfomane”, attribuzione riduttiva e densa di pregiudizi. In realtà è una psicotica sessuale in conseguenza di abusi commessi dal padre quando era in età pre-adolescenziale, ed in assenza del suo ragazzo, l’unico che riesce a farla star bene, subisce delle crisi psicotiche che la inducono a concedersi sessualmente a chiunque le arrivi a tiro e di qualsiasi età anagrafica, purché maschio senza disfunzioni erettili. Il suo vicino di casa, magnificamente interpretato da Samuel Jackson, trovatala pestata a sangue dal migliore amico del suo ragazzo (ipocrita frustrato opportunista), se ne prende cura e la sottopone ad una terapia “personalizzata” piuttosto coercitiva ma anche fortemente umanizzata, che le farà percepire quelle attenzioni, finalmente affettive e non sessuali, di cui interiormente sentiva l’esigenza e che le sono sempre mancate in precedenza. Dopo alcuni giorni infatti queste modalità di approccio atipiche ma sincere paiono funzionare ed inducono dei cambiamenti psicologici nella protagonista che la indurranno ad avere maggior rispetto per se stessa, superando gli impropri sensi di colpa che provava e che la inducevano a farsi umiliare sessualmente come a volersi punire per le colpe del padre e della madre (che sapeva ma non è mai intervenuta in sua difesa). Ottimamente caratterizzati tutti i personaggi, anche quelli secondari, rivelando il talento autoriale degli sceneggiatori, abili nel configurare l’ipocrisia di coloro che apparentemente ed inizialmente si presentano come brave persone, poi si riveleranno i peggiori, i più malevoli ed egoisti, mentre al contrario quelli che sembrerebbero dei cinici approfittatori, rivelano una loro morale ed affettività latente.
Ben realizzate e ritmate le varie scene in cui nella piccola località di provincia si manifestano le varie dinamiche comportamentali, le varie interazioni tra i protagonisti principali ed i personaggi secondari: dall’incontro con la madre di lei, all’intervento del pastore della chiesa locale, all’incontro finale con il fidanzato della ragazza che rientra prematuramente a casa perché cacciato dall’esercito per ansia e crisi di panico, ed equivocando la situazione vorrebbe vendicarsi, agli avventori del bar in cui tutti prima o poi transitano, al ripristino della sana e bella abitudine (che il vicino di casa interpretato da Jackson aveva interrotto per crisi esistenziali depressive) di suonare la chitarra elettrica e cantare un magnifico blues (da cui il titolo del film). Tutti piccoli gioielli narrativi che rendono il film un’opera da apprezzare, non perfetta ma che rimarrà impressa positivamente nella memoria, lasciando emozioni semplici ma indelebili. Che è quanto un film dovrebbe riuscire a fare, ma che riesce raramente.
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