Regia di Boris Barnet vedi scheda film
Barnet è un artista, un poeta del cinema, e lo resta anche quando fa film di propaganda quasi spudorati come questo e con un testo retorico, anche per la vicenda sentimentale, che fa torto alle immagini. Nina, una ragazzina provinciale, timida e spaesata, arriva con la valigia in mano in un cantiere metalmeccanico per lavorare, viene accolta benevolmente dall’ingegnere capo, poi dalle compagne. Si impegna e ingegna, inventa una modifica alla maschera protettiva da saldatori che consente di usare entrambe le mani e lavorare meglio e più speditamente, ma la propone subito alla compagna più brava (con cui in più occasioni l’amicizia sembra suggerire rapporti più intimi che il regime non tollererebbe); l’ingegnere la sprona a studiare, diventa ingegnere anche lei, i due si sposano, lui muore in guerra, lei ne prosegue il lavoro e ne applica con successo i progetti. Tutti buoni, tutti solidali, tutti i meriti riconosciuti, tutti pronti a riconoscere propri errori o mancanze. Alla fine (quasi alla fine) una ragazzina provinciale, timida e spaesata, arriva con la valigia in mano per lavorare; Nina ricorda di essere arrivata allo stesso modo, la accoglie con la stessa benevolenza e ne prevede un futuro di successi simili. Come storia, senza infamia e senza lode ma opportuna nello sforzo di ricostruzione del dopoguerra, poteva decorosamente finire così; invece seguono alcuni minuti di un enorme ritratto di Stalin che incombe sulle celebrazioni per l’inaugurazione della nuova fabbrica, con Nina che fa il suo discorso ai compagni per trascinarli a lavorare e studiare sempre più e meglio. Non poteva evitarlo… Ma tutto il resto, e in parte anche questo discorso, ha pagine veramente altissime, di grande cinema. Come in tutti i suoi film. Barnet trasforma in poesia tutto ciò che guarda: l’arrivo della timida, ma già energica e volonterosa, provinciale, la corsa felice per comunicare la laurea finalmente raggiunta, la solidarietà di tutti, l’annunzio della morte del marito; discreto, privo di sbavature e di commenti inutili, lo scontro e poi l’abbraccio fra Nina che ha appena ricevuto la notizia della morte del marito e scopre che l’operaio addetto al controllo del termometro non è intervenuto ed ha lasciato congelare il cemento, e se ne irrita e lo maltratta mentre lui tace, come inebetito: sembra davvero ubriaco come dice lei… poi risulta che anche lui ha appena ricevuto una più terribile notizia, tutta la sua famiglia è stata massacrata dai “fascisti” che avanzano, e lei va a scusarsi e lo abbraccia. Perfino un brutto errore tecnico che ha provocato un danno grave viene confessato dal responsabile in modo onesto e dignitoso; lo conforta un gesto, quasi una carezza, di Nina, che pure per il fallimento di quella prova vedeva messo sotto accusa il progetto cui aveva lavorato a lungo il marito prima di morire, e poi con altrettanta passione lei. Sono tocchi delicati, spesso appena suggeriti: Barnet non grida, neppure nei momenti più drammatici: suggerisce appena, ma con squisita delicatezza.
Relativamente poco noto (basta vedere la scarsità di recensioni e commenti e la modestissima presentazione che ne fa film.tv). Peccato. La propaganda mi infastidisce sempre, da qualunque parte venga, e la retorica anche, ma basta non leggere le didascalie e il film ridiventa quel capolavoro che effettivamente è. Raramente do le cinque stelle del capolavoro, e nell’insieme forse neppure questo le meriterebbe, ma spero che servano a invogliare qualche lettore a cercare questo e altri film di Barnet, ben più grande di tanti osannati.
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