Regia di Louis Leterrier vedi scheda film
A un imprenditore brasiliano servirebbe una fabbrica nuova. Quella dedita all’imbottigliamento di bevande a base di guaranà è fatiscente e sporca. In soccorso, salvando l’industriale dalla critica situazione economica, arriva lui. Grosso, verde e fortissimo. No, non è il Dollaro Americano. Si tratta di Hulk (Edward Norton) che, puntuale come un metronomo, in quattro e quattr’otto sfascia i vecchi vetri delle finestre, svuota i contenitori ripulendoli con una strofinata di raggi gamma e provvede al ricambio dei carrelli elevatori.
Siamo dalle parti delle “cinefavelas” carioca, in particolare quella di Rocinha, forse la più colorata tra tutte quelle brasiliane. Dell’ambientazione ne approfitta il direttore della fotografia, Peter Menzies jr., un vero portavoce abusivo: si esalta con ipersaturazioni che rievocano certe estetiche usate poi in “The Millionaire”. Celebra l’uso del blu, loda l’arancio, decanta il giallo e onora il rosso. La brutta favela diventa così un’insieme di stradine pittoresche abbellite dai murales, schiarite dalle luci della sera che giungono dalle finestre come stessimo ammirando uno scorcio newyorkese, dove i ragazzi giocano (poteva essere altrimenti?) a calcio e le massaie mettono ad asciugare lenzuola Bassetti. L’intera fiancata di una montagna diventa un presepe perfetto per l’incursione del Governo americano, fissato col perfezionamento della bioetica militare e con la corsa alla superarma, che poi non sarebbe altro che un supersoldato.
Alla marchiana operazione prestano la loro nauseabonda espressione attori del calibro di Edward Norton (alle prese con il ricambio continuo di camicie e pantaloni elasticizzati nonché con l’antivirus per pc omonimo (!), l’interprete strabuzza gli occhi e corruga la fronte per tutta la durata del film, ostacolato anche dal debole corredo di effetti speciali), Tim Roth (malvagio fuoriclasse cresciuto in Russia, uno che ha la spina dorsale d’acciaio, si piega ma non si spiezza anche quando ha le cornee tutte blu) e William Hurt, costretto a ruoli ingrati per tirare a campare.
La pellicola cade in una sorta di spirale regressiva grazie a un montaggio e a una regia approssimativi: attraversata dai classici dondolamenti della mdp a mano, la vicenda dell’omone verde si trasforma in un’accozzaglia di scene messe in sequenza ottenendo straordinari livelli di tossicità in chi le guarda, allontanandosi così dal carisma che aveva la serie televisiva trasmessa a cavallo tra gli anni ’70 e ’80.
Non bisogna dimenticare la sceneggiatura insipida che non chiarisce, tra le altre cose, l’aspetto sentimentale: cosa provano l’uno per l’altra la bella Elizabeth (Liv Tyler, ebete come al solito) e Hulk? Nessun aiuto viene dalla narrazione, che come al solito procede per accumulo e lascia ai carenti sguardi personali, ai baci insensati e all’anaffettività dei personaggi (mancano la sofferenza e una vera battaglia per la conquista dei cuori altrui per potersi appassionare) un responso che rimane clandestino. Oltretutto il rapporto soffre di evidente ejaculatio praecox dovuta a battito cardiaco accelerato.
Intontito dal tambureggiamento incessante della (vogliamo chiamarla così?) colonna sonora in stile “perpetual epic”, a questo Hulk non rimane che sedarsi e ammirare in tv i suoi predecessori o, al massimo, consegnar loro una pizza. Noi possiamo sempre ambire a una chat con Mr. Blue, un simpatico universitario collegato in rete a qualsiasi ora del giorno e della notte, che compare verso la fine della storia. Perché l’epilogo (e quasi la totalità del film) è fatto solo da inseguimenti, sparatorie, scontri (pure davanti all’Apollo Theater, in quel di Harlem), esplosioni, distruzioni e trambusti vari, tanto che pure il protagonista afferma: “C’è troppo rumore. Non riesco a capirci niente”. Quanto lo comprendiamo, poverino.
Giorni senza incidenti: 0 – Minuti senza eresie: 0. Se non è incredibile questo…
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